Recensioni non professionali AFMV - ADDIO FOTTUTI MUSI VERDI
CATTLEYA e 01 DISTRIBUTION
The following unprofessional review covers an Italian movie and will therefore be written only in Italian. If any English speaker would like to know more, feel free to ask for further information in the comments.
Amo ogni forma di intrattenimento che mi trasporti in un mondo del tutto nuovo, o anche semplicemente nel mondo di qualcun altro. Pertanto, amo soprattutto la letteratura ed il cinema, ma sono un’utente estremamente medio: non ho particolari competenze tecniche e non me ne preoccupo eccessivamente, le mie “competenze” discendono, semmai, unicamente dal fatto di aver letto e visto molte cose diverse. Apprezzo sia film più “impegnati” che blockbuster e non mi aspetto di applicare il medesimo metro di giudizio ad entrambe le tipologia.
Mi piace registrare la mia opinione sulle cose, quindi spesso scrivo recensioni su ciò che mi piace, ciò che non mi piace e ciò che risulta in ogni caso molto popolare. Le mie recensioni cinematografiche apparivano per lo più su FB, mentre le mie recensioni letterarie si trovano sul mio account Goodreads. D’ora in poi le pubblicherò anche qui.
Cerco sempre di mantenermi il più generica possibile, ma procedere con cautela.
LA PRESENTE RECENSIONE POTREBBE CONTENERE SPOILER: MEDI 🌶🌶
AFMV: ADDIO FOTTUTI MUSI VERDI
- Cinematografia: 7/10
- Recitazione: 6/10
- Trama: 6/10
- Intrattenimento: 6+/10
Lo scorso giovedì sera il moroso aveva voglia di cinema ed io, trascinataci appena rientrata a casa dopo 14 ore in giro, sono arrivata all’UCI dietro casa (che detesto ma è effettivamente molto comodo) senza nemmeno sapere cosa andavamo a vedere. Fortunatamente “quello degli alieni” prometteva di essere un film godibile e sufficientemente movimentato da tenermi sveglia nonostante la stanchezza incipiente. O, perlomeno, questo era quanto il trailer lasciava intendere. Per capirci, stiamo parlando di questo film:
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Figo, vero? Gente comune (e pure un po’ sfigata), invasione aliena, armi giganti. E il tutto di produzione italiana, che per quanto purtroppo non sia più un sinonimo di qualità cinematografica almeno poteva suggerire un approccio diverso al tema rispetto ad una classica produzione USA. Ebbene, come spesso ahimè accade la parte più figa del film era il trailer.
Un premessa è d’ordinanza. Tanto quanto in Thor: Ragnarok ero molto sul pezzo ed in grado di cogliere ammiccamenti e riferimenti vari, ad AFMV ero arrivata sostanzialmente vergine. Non avendo vissuto sotto una roccia, negli ultimi anni, sapevo dell’esistenza del gruppo The Jackal ed avevo anche sorriso ad alcuni loro video che mi erano comparsi nel newsfeed di Facebook. Sapevo anche che avevano un lungometraggio in lavorazione, perché avevo intravisto un post che ne denunciava il pirataggio ancor prima dell’uscita nelle sale, ma né vedendo il trailer né arrivando in sala quel giovedì sera avevo collegato le due cose. Quindi nel guardare il film ero inconsapevole del fatto che si trattasse dei The Jackal e che fosse il primo sforzo cinematografico di un collettivo di creativi del web. Va da sé che non ho colto alcun riferimento o citazione presente nel film, nonostante ogni recensione letta successivamente mi abbia assicurato che ce ne fossero a bizzeffe. Non seguo nemmeno Gomorra e non ho, dunque, potuto apprezzare appieno il cameo di due tra gli attori principali di quella serie. Al contempo, non ero in grado, nell’immediato, di rapportare le pecche del film alla pregressa esperienza degli autori.
Quest’ultima analisi, peraltro, è possibile farla anche ex post: con la consapevolezza che autori e regista provengono dal mondo dei cortometraggi sul web, infatti, si spiegano i difetti più evidenti del film e quindi, in primis, le tempistiche eccessivamente dilatate e la trama piuttosto carente.
Tutto considerato, peraltro, il film è nel complesso abbastanza godibile e sicuramente ben realizzato, quantomeno per quanto riguarda scenografie e cast. Ci troviamo, insomma, svariati gradini più su del becero cinepanettone o dell’ammorbante onanismo intellettualoide cui afferiscono la maggioranza dei film italiani degli ultimi decenni, per quanto questo film si inserisca comunque in un filone fantascientifico-grottesco che deve piacere per poterlo apprezzare. Insomma, non lo consiglierei ai miei genitori, per quanto cinefili appassionati. Spero, dunque, abbia un buon successo e che gli autori abbiano la possibilità di riprovarci, magari migliorando quegli aspetti che, almeno personalmente, ho trovato un po’ più deboli.
Ciò premesso…
Tre cose che mi sono piaciute
Cinematografia. Da un punto di vista stilistico, il film mi è sembrato estremamente ben fatto. Le scenografie sono molto curate e realistiche e gli effetti speciali ben realizzati. Insomma, dal basso delle mie inesistenti competenze tecniche, per essere un film italiano e, per di più, un’opera prima, la realizzazione pratica risulta curata, efficace e di grande qualità. Di particolare pregio il raggio cosmico e la stazione orbitante aliena, sia interna che esterna. Anche Janine, la segretaria robotica, oltre che essere una trovata geniale, deve aver assorbito una buona parte di budget.
Ciro (Ca)Priello e Fabio Balsamo. Come già detto, non conosco i The Jackal se non superficialmente, quindi non sono stata in grado di apprezzare le interpretazioni di Ciro e Fabio in rapporto a quelli che sono gli innumerevoli personaggi che hanno già interpretato per il web. Li ho, in ogni caso, molto apprezzati nei ruoli interpretati nel film: ottime interpretazioni, bella intesa tra loro ed eccellente mimica facciale di entrambi. In generale, non sono una grande fan della recitazione urlata (detesto Massimo Boldi, per dire), ma in questo caso urla, urletti e smorfie di terrore di Ciro ci stavano quasi tutti e, d’altra parte, quando non era terrorizzato dall’essersi risvegliato su una navicella aliena, l’interpretazione risultava piuttosto equilibrata.
Il personaggio di Fabio, poi, l’ho trovato riuscitissimo e molto credibile, oltre che estremamente tenero, sia nel suo entusiasmo adolescenziale per la fantascienza e tutto ciò che concerne il suo franchise preferito (del tutto condivisibile, avendo anch’io un ricco bagaglio di fissazioni fantasy), sia nel fatto che tutto sommato, pur essendosi “accontentato” di assistere il padre con mansioni ben al di sotto delle sue capacità, il lavoro lo appassiona e cerca di farlo al meglio. Caratteristica che sembra stridere parecchio sia con la caratterizzazione degli altri due protagonisti, disoccupati e insoddisfatti ma intenzionati a trovare un lavoro “alla loro altezza”, sia con il sostrato del film, che punta in qualche modo il dito contro la trita e ritrita disoccupazione giovanile, per quanto in maniera un po’ ambigua.Roberto Zibetti, Hal Yamanouchi e il cameo d’eccezione. Salvo una singola eccezione, il cast è molto valido. Ho già detto che, non seguendo Gomorra non ho potuto apprezzare appieno i personaggi di Fortunato Cerlino e Salvatore Esposito, per quanto ben interpretati. Le vere chicche di questo film, peraltro, sono innegabilmente l’alieno Brandon, magistralmente interpretato da Roberto Zibetti, fortemente influenzato da Willy Wonka (dell’omonima Fabbrica di cioccolato), nonché il brillante caratterista Hal Yamanouchi, naturalizzato italiano e voce nostrana di tutti i personaggi con marcato accento giapponese, oltre che Silver Samurai in Wolverine – L’immortale, qui nell’esilarante ruolo del gestore cinese (sic!) di una friggitoria napoletana, che lancia a Ciro crocchette bruciate con una severità che nemmeno il Maestro Miyagi. Brilla in ogni scena in cui appare e salva una delle gag meno riuscite di Ciro (quando esce furente dalla friggitoria, strappando la carta da parati) rendendola una scena memorabile grazie alla sua perfetta interpretazione del partenopeo verace. A dimostrazione del fatto che i cinesi sono talmente avanti nella contraffazione, che ci cascano pure i napoletani.
E poi c’è lui: il cameo definitivo. Molte delle recensioni che ho letto dopo aver visto il film non rivelano di chi si tratti, non so se per non rovinare la sorpresa a chi non ha ancora visto il film o perché in fondo ripugnati dalla prospettiva di mettere nero su bianco “mi è piaciuto [personaggio]”. Nemmeno io, in effetti, ho mai pensato che sarei arrivata a dire o scrivere una cosa del genere, quindi non lo farò e manterrò l’aura di mistero. D’altra parte, questo specifico personaggio stupisce, in concreto, per l’autoironia dimostrata nell’essersi prestato e nel ruolo allo stesso affidato, piuttosto che per l’interpretazione. Che quindi posso esimermi dall’apprezzare. In ogni caso il cameo ha quello che i detrattori potranno sicuramente ritenere un lieto fine, vero bonus del film.
Due cose che meh
La trama. Come già anticipato, il trailer non consente di sviluppare aspettative realistiche sul film, che risulta molto più lento di quanto appaia. Se dal trailer sembra che i nostri eroi si trovino, del tutto per caso, a dover fronteggiare da soli un’invasione aliena armati fino ai denti, nella realtà la storia ruota più che altro attorno all’incapacità dei protagonisti di trovare un lavoro soddisfacente a Napoli. Nel 2017. Da creativi (per di più plurititolati). Insomma, una ventata di freschezza. Il tema della disoccupazione giovanile non è certo nuovo nella cinematografia italiana e, soprattutto nei pochi giorni che mancano all’uscita del terzo capitolo della serie, il confronto con Smetto quando voglio è quasi automatico: tra i creativi napoletani ed i ricercatori romani, però, non c’è proprio gara, vincono i secondi a mani basse. Ma laddove i ricercatori si erano ingegnati nel creare un business curioso ed esilarante, il creativo Ciro arriva, per disperazione, a mandare il proprio CV nello spazio e si ritrova, del tutto inaspettatamente, a lavorare per degli alieni di passaggio. Una premessa interessante, ma sostanzialmente sprecata. L’inizio del film è confuso e debole, il centro lento e noiosetto (per quanto la razza aliena sia ben congegnata), l’immancabile momento di crisi tra il protagonista e gli amici banalotto e solo negli ultimi 10 minuti arriva l’armamentario bellico. Nel mezzo, una manciata di evidenti incongruenze narrative. Ad esempio, il fatto che gli alieni paghino a Ciro uno stipendio soddisfacente stride con il colpo di scena molto poco sorprendente del finale. Per non parlare del fatto che, a quanto pare, l’universo The Jackal dovrebbe volutamente presentare una versione del mondo più grottesca ed esagerata, circostanza che però nel film viene data sostanzialmente per scontata e non si percepisce se non nei titoli di telegiornale che scorrono mentre Ciro viene prelevato la prima volta dagli alieni (considerato che nella scena precedente Ciro si era appena fatto una canna, avevo inizialmente pensato che TG e prelievo alieno fossero un suo trip). Sarà che sono veneta, ma non ho trovato nulla di grottesco o esagerato nella Napoli del film, il che rende la scena con il TG un po’ assurdo del tutto incongrua.
Gli alieni. Se il richiamo del capoufficio alieno a Willy Wonka riesce, soprattutto per la bravura dell’interprete, l’inquietante somiglianza degli altri alieni con degli umpa lumpa ripassati in varechina diventa un po’ eccessiva. Bene l’hommage, ma forse in questo caso si sono spinti un po’ oltre. Per caratterizzare gli alieni come lavoratori squadrati, abitudinari e naïve si potevano sicuramente trovare soluzioni migliori, che si discostassero dalla linea scelta per Brandon, al netto di una necessaria armonizzazione della specie.
Tre cose che non mi sono piaciute
La gestione dei tempi scenici. Il film brilla per interpretazioni, scenografie e singole idee, ma risulta alquanto deludente per quanto concerne l’armonizzazione complessiva dei vari elementi in una trama coesa e ben dipanata. In sostanza, la transizione dai cortometraggi web al grande schermo pesa molto sul risultato finale: laddove gli autori sono ormai bravissimi nel creare sketch di grande successo, non si dimostrano altrettanto a loro agio con tempistiche più estese e con la necessità di mantenere vivo il ritmo di un intero film. Prevedibile. Per uno sketch di successo servono un’idea brillante a la capacità di condensarla in pochi minuti di girato. Al contrario, un film richiede un lavoro ben diverso di gestione dei tempi scenici, oltre che contenuti più ricchi e dettagliati e passare da un formato all’altro non è mai semplice, né in un verso né nell’altro. Peccato, perché l’idea di fondo era simpatica e forse con un po’ più di esperienza la resa sarebbe stata migliore.
Beatrice Arnera. Nel mezzo di un cast brillante e capace, non ho capito il ruolo né di Beatrice Arnera né del suo personaggio, Matilde. Per tutta la prima metà del film non si capisce se sia la ragazza di Ciro o solo un’amica. E, in effetti, nemmeno nella seconda parte, visto che sembra esserci più intesa mentre cade per sbaglio sopra Fabio che mentre limona selvaggiamente con Ciro. Ma anche a prescindere dal protagonista, l’arco narrativo di Matilde è proprio inutile: parte, torna, non conclude nulla, fa tanti discorsi sul futuro ma non sembra avere alcun desiderio o ambizione concreta, fa la faccia dura quando si tratta di combattere gli alieni ma poi, boh… non serve a un tubo. Non si capisce nemmeno se il personaggio sia scritto male o l’attrice sia mediocre. Qui i casi sono due. O i The Jackal sono incapaci di scrivere e dirigere personaggi femminili, ma qualcuno ha detto loro che un film senza almeno una donna non si può fare. O qualcuno della produzione voleva fortemente far lavorare Beatrice Arnera, Boris docet.
La disoccupazione. L’ultima perplessità riguarda il tema, già più sopra accennato, della disoccupazione. Un po’ come per Matilde, non si capisce se il film voglia veramente parlare di disoccupazione o intendesse solo usare la disoccupazione come espediente narrativo. Nel primo caso, il tema è trattato superficialmente ed anche tutto sommato in maniera controproducente, visto che di tre disoccupati plurititolati l’unico che ne esce bene è quello che si è accontentato di lavorare col padre. L’esterofila va e torna con le pive nel sacco e per quanto riguarda titoli e talenti dobbiamo fidarci del protagonista, che ci dice che ha entrambi, ma di fatto sembra l’elogio della mediocrità contemporanea. Il protagonista si esalta molto e sciorina titoli e dottorati (in materie in cui, a mio parere, dovrebbe contare molto di più l’esperienza, ma vabbè), poi è incapace di capire e soddisfare l’unico cliente che ha, si sente finalmente arrivato quando riesce a soddisfare un branco di marionette prive di qualsivoglia estro e, nonostante sia un grafico assunto “a progetto”, si comporta come se la creazione di un singolo logo l’abbia sistemato a tempo indeterminato. Se, invece, la disoccupazione era solo un espediente, risulta ridondante: era sufficiente che disoccupato fosse il protagonista o, meglio, che insoddisfatto ed in cerca di un nuovo impiego fosse solo il protagonista. Ancora una volta l’arco narrativo di Matilde risulta inutile, cosi come la spocchia con cui sia lei che Ciro trattano Fabio per essersi accontentato. Insomma, idee spendibili, ma confuse.
Tirando le somme, la vera differenza, rispetto a Thor: Ragnarok, è che in questo film non avevo una cotta per nessuno. Meglio, così almeno non sembro la facilina che sono, visto che ho effettivamente un ben nutrito palmarès di attori favoriti (più alcune favorite). Mi rifarò certamente nel futuro prossimo.
Ottimo lavoro, direi a livello professionale. Brava!
Ottima recensione :) ho visto il trailer l’altro giorno ma non mi ispira per niente. Mi sembra una cavolata di film...
È una commedia leggera, un po’ demenziale. Quindi dipende sempre dai gusti personali.
Diciamo che, a chi può comunque apprezzarla, consiglierei di non spendere più di € 5,50 per il biglietto. Oppure aspettarlo sulle piattaforme di streaming.
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Non è proprio il mio genere ma grazie per la recensione dettagliata :) J.T.