Urlare non basta.
Guardavo le bottiglie di birra vuote posate su quel tavolo di legno scuro, la luce fioca e gialla del locale si rifletteva nel vetro e una musica stile rock leggero suonava come sottofondo. Le risate, le chiacchere di qualche amico seduto con me al tavolo rimbombavano nelle mie orecchie mentre fissavo il vuoto, mentre mi sentivo esattamente come quelle bottiglie vuote, mentre mi accorsi della mia stanchezza.
Anni passati a costruire rapporti, a cercare sempre la cosa giusta da dire, a prendere scelte che potessero essere meno criticabili possibile, a sorridere di fronte a risate vuote, a compatire drammi e scelte così ovviamente evitabili. Tutto per sentirmi sempre e comunque da un’altra parte, come se non c’entrassi niente, come un punto luce in una stanza buia. Questa la condanna di far parte di quella piccola cerchia di persone che ogni tanto riesce a vedere oltre, ma la condanna soprattutto di chi avrebbe da dire e puntualmente tace. Quando pensi che potresti spiccare, ma che contemporaneamente resteresti invisibile. Non mi credo migliore di altri, non mi ritengo più intelligente o più furba, ma ogni tanto soffro per la superficialità che questo mondo ostenta a gran voce.
Tutti urlano, gridano, impongono gioie e sofferenze, perché si ha bisogno di essere sentiti, si deve essere visti, si deve essere ascoltati, altrimenti non si esiste. Tutti così forti, così motivati e allo stesso tempo schiacciati da drammi superficiali intorno a cui gira la loro vita. Si tratta sempre del discorso del piccolo orticello, di quello che io voglio e di quello che io mi aspetto che gli altri facciano. E allora ci sono volte in cui mi stanco di ascoltare, a volte persino me stessa; e mi ritiro con rabbia nella consapevolezza di una società morta e sepolta, di una sensibilità che non esiste più, di un buon senso dissolto nel nulla solo per far fronte a ciò che ti farebbe ritenere una persona di successo. E qual è poi la conseguenza? Nessuno ha più niente da dire, da raccontare, da scoprire. E allora anche le relazioni tra umani crollano, ci si aspetta sempre di più, ci si aspetta una sintonia immediata, senza prendersi neanche l’impegno di scavare dentro qualcuno, anzi, sarebbe considerato troppo faticoso nella società in cui siamo. Non concepiamo cambiamenti, desideri e frustrazioni fuori dall’ordinario, chiamiamo “depressi” chi pensa un po' di più e “codardi” chi ogni tanto scappa dalla pressione che tutta questa gente ci impone.
Basta stare seduti in poltrona ad aspettare, basta credere che ogni persona possa adattarsi a voi, quando invece lasciarsi influenzare e plasmare un pochino da chi sappiamo essere meglio di noi sarebbe la cosa più sensata. Basta recitare e basta tenere banco anche quando vorreste andarvene, smettiamola di fermarci al primo strato di ogni cosa e guardiamo oltre. Forse bisognerebbe smettere di voler essere al centro della pista da ballo e essere il quadro che la gente si ferma a guardare durante una festa rumorosa. Perché alla fine urlare non basta.