Sì, viaggiare p.4: Messico e Nuvole, la faccia triste dell'America
Cosa è che dona una forma ai pensieri, ai ricordi? Le esperienze, la vita, i momenti che ti attraversano come un fulmine ma che, poi, non ti abbandonano più.
Ogni giorno ci lascia qualcosa, ma non sempre ce ne accorgiamo. Di questo viaggio, porterò con me l'umidità che si attacca sulla pelle, l'odore dell'aria che sa di pioggia e terra, vento e mare. Il suono lontano di un tuono, mentre osservi il mare blu, sempre più blu.
La percezione di essere un po' più vicina al passato, a migliaia di anni fa, quando questa terra era calpestata da altri. Altre persone, altri popoli, altre vite.
Cosa è sopravvissuto?
Una città nel cuore della giungla sorta nei pressi delle uniche fonti di acqua del territorio, i cenotes o "D'zonol", lo scorrere del tempo, che inesorabilmente e ostinatamente misuravano e registravano, le stelle a illuminare come allora le notti senza luna.
Nel 1988 questi 3km quadrati di terra che prendono il nome di Chichen Itza, "la bocca del pozzo degli Itza", sono diventati patrimonio dell'umanità dell'UNESCO e inseriti tra le sette meraviglie del mondo nel 2007.
Il sito archeologico sorge a una mezz'ora di auto da Valladolid e a qualche ora da Merida. L'ingressso costa 237 pesos, 30 pesos il parcheggio. Acqua e Panama in testa, inizia il sentiero che porta al centro del sito archeologico.
Al mattino presto, la distesa di erba attorno al Castillo è quasi deserta. Il silenzio rotto solo dal vento che soffia tra gli alberi e dal canto degli uccelli infonde serenità.
È il momento migliore della giornata, quando orde di autobus turistici scaricano i passeggeri lì per qualche frenetica ora.
Leggo.
La piramide di Kukulkan, ribattezzata dai conquistadores "El Castillo", era un tempio Maya dedicato al dio "serpente piumato". Di fatto è un enorme calendario. Sommando il numero di gradini sui 4 lati, si ottiene 365, come i giorni di un anno. Un gradino per ogni anno. Gli archeologi hanno scoperto che è anche una antica matrioska. Al suo interno vi è una piramide più bassa, inglobata da questa struttura del 1000-1200 dc.
Poi leggo che durante gli equinozi, l'architettura della struttura fusa con la luce solare dalla particolare angolazione in quei giorni dell'anno permettono la proiezione di giochi di luce che simulano la figura di un serpente che striscia.
Caso o genio astronomico e architettonico?
Probabilmente la seconda. Continuo a passeggiare e arrivo di fronte al Caracol.
Una struttura cilindrica, il fulcro della scienza Maya. L'osservatorio astronomico. Ascolto una guida inglese accanto a me, racconta che non solo è un osservatorio, ma uno strumento astronomico. Le porte, infatti, sono "regolate" in base all'equinozio di primavera: in quel giorno il sole le attraversa. La posizione assunta delle ombre proiettate dal sole in quelle stesse porte invece, indicava il giorno dei solstizi.
Le stelle e gli astri li osservavano ad occhio nudo, sì, ma non perennemente con il naso all'insù.
Accanto al Caracol, ci sono due grandi cisterne che venivano riempite d'acqua e si tramutavano quindi in specchi. Specchi d'acqua dove il cielo si rifletteva e in cui gli astronomi misurava e studiavano le stelle.
Mi sorprende sempre pensare che senza i mezzi tecnologici odierni, in luoghi tanto remoti e nel mezzo della natura l'uomo sia stato in grado di tale precisione matematica e tecnica. Penso a queste strutture straordinarie, alle piramidi, ai Buddha giganti di Bamiyan ormai distrutti, i templi maestosi dell'antica Grecia e dell'impero romano, e penso che queste grandi opere umane siano la dimostrazione che tutto è possibile, basta volerlo.
Continuo a leggere. Alla grandezza e alla maestria, si unisce l'altro grande mistero umano, indissolubile dalla natura dell'uomo, pare: la violenza.
Sacrifici umani per rafforzare il proprio status e assorbire le virtù dei sacrificati, rituali che scandivano la vita arrivando fino al gioco della palla che veniva vissuto come un vero e proprio rito con sacrifici umani annessi tra le regole del gioco (per lo più sconosciute).
Il campo del gioco della pelota (palla) di Chichen Itza è il più grande del mondo mesoamericano. Nel sito archeologico sono stati trovati almeno 7 campi, a dimostrazione di quanto fosse diffuso tra la civiltà Maya tale sport.
Accanto al grande campo vi è il "muro dei crani" / Tzompantli dove si mettevano in bella mostra i teschi dei giocatori che erano stati sacrificati durante la partita.
Continuo il percorso, un cenote, il cenote sacro. Queste pozze di acqua dolce di cui è disseminato lo Yucatan erano spesso luoghi di culto per il Dio della pioggia, Chaac. Come venerarlo, se non sacrificando oggetti e vite umane? Sulla targhetta descrittiva posta accanto a un albero a margine del cenote, leggo che secondo la tradizione Maya, si sacrificavano spesso uomini e donne virtuosi e con qualche dote: bellezza, forza fisica, intelligenza, grazie, giovinezza. Un sacrificio al dio ma anche fonte di potere per chi in quelle acque si sarebbe tuffato per uscirne più forte e virtuoso.
Ovviamente il capo della comunità.
Alla violenza Maya, rappresentata dal culto del sacrificio umano, si somma la violenza del popolo guerriero dei Toltechi, che introduce pratiche cruente. Il culto del sangue era fondamentale per un popolo la cui sopravvivenza si basava sulla guerra di conquista.
Arrivarono a dominare quasi tutto il Messico e quando nel 1500 iniziarono ad arrivare gli spagnoli conquistatori, a violenza se ne aggiunse altra.
Violenza per scacciare violenza? O solo violenza per conquistare e dominare, per espandersi e cancellare la memoria altrui.
Un altro che si dimentica, che si vuole sotterrare per dar luce alla propria verità.
È il dibattito che si sta animando in questi giorni. Perché festeggiare una data che ha segnato il genocidio di intere popolazioni? Che mondo vivremmo se Colombo non fosse mai giunto così lontano? Di chi è la giustizia che regola il mondo?
E così via, le domande che si avallano nella mia mente diventano sempre più filosofiche, più teoriche e lontane dalla realtà.
La realtà è sempre più semplice delle idee.
La realtà è che le Americhe di Colombo oggi sono parte del nostro mondo tondo conosciuto.
La realtà è che le minoranze , quelle che sono diventate minoranze, non sono mai sparite e rivendicano un posto, che è il loro.
La verità è che la multietnicità è ovunque.
La realtà è che la storia la scrivono gli uomini e per ampliare la nostra visione del mondo dobbiamo immergerci anche in quelle storie che qualcuno ha dimenticato di narrarre. Bisogna essere avidi di conoscenza, studiare e ricercare nuove voci per poter avere un'idea più completa, ma sempre parziale, del tutto in cui viviamo.
Uno strumento può essere la lettura, lo studio, il dialogo, ma anche e forse per me, soprattutto, il viaggio.
Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
(Italo Calvino)
Tutte le foto sono originali, scattate da me, con la mia Nikon d3100 e il mio Nexus 5
Come sempre, un bel post.
Grazie Paola 😘 questi posti mi hanno davvero affascinato parecchio :)
Ciao @stella87s. Belle foto, ottima pubblicazione. Grazie!
Grazie Macondo! :) Mi piace tantissimo il tuo nome :)
:) Grazie. Mi piace la lingua italiana.
Tu sì che sai tenere lo spettatore interessato dall'inizio alla fine! Bel argomento! Certo però questi qui erano dei pazzi scatenati! Ogni scusa era buona per far fuori qualcuno!! Che paura 😅