I vantaggi del bicchiere mezzo pieno Ita-Eng-Fra-Esp

in Italy2 years ago

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Fortuna e sfortuna solo solo due punti di vista?

Il giochino di definire un bicchiere riempito a metà mezzo pieno o mezzo vuoto è sempre stato un must per indagare sull'atteggiamento generale di una persona nei confronti della vita di tutti i giorni.

  • Com'è questo bicchiere?
  • Mezzo vuoto.
  • Ok, sei pessimista.

In caso contrario: "sei ottimista". Cosa ce ne facciamo di questa informazione? Nulla. Essere ottimisti o pessimisti è stata sempre una nota di colore e nulla di più. Un giocatore di poker che si sente sfortunato, quindi per estensione è un pessimista, è considerato allo stesso piano di un giocatore che ha lo stesso livello tecnico, ma che invece si sente fortunato, quindi è un ottimista. In effetti, al primo impatto andare a sostenere che due giocatori con lo stesso livello di gioco possano raggiungere differenti risultati solo perché si sentono fortunati o al contrario sfortunati sembra un'assurdità, ma vale la pena andare a dare uno sguardo più approfondito alla questione. Come al solito non mi baserò su semplici impressioni, ma solo su solidi dati scientifici. Davanti ad una prova che potrebbe essere avere successo nel poker, chi si sente sfortunato si comporta allo stesso modo di chi si sente fortunato? Si impegna ugualmente? Il fortunato si adagia sugli allori e lo sfortunato lavora più sodo per recuperare il gap che il caso gli impone? Oppure il fortunato lavora tanto perché è "in fiducia" al contrario dello sfortunato che si sente demoralizzato a causa degli sforzi castrati dalla sfortuna che ha attaccata addosso? Quando si parla di fortuna o sfortuna l'autorità a cui ci dobbiamo riferire è Richard Wiseman, un inglese che ha dedicato praticamente tutta la sua attività di psicologo scientifico agli studi inerenti questo ambito. Ha realizzato anche alcuni esperimenti per vedere se le persone affrontano le difficoltà che si presentano in modo diverso in rapporto al fatto di sentirsi fortunati o sfortunati. Lo psicologo inglese ha invitato tantissime persone a definirsi fortunate o sfortunate chiedendo poi anche le motivazioni. Alcuni tra i fortunati ed altri tra gli sfortunati sono stati successivamente selezionati per affrontare una prova: davanti a due rompicapo identici i soggetti erano invitati ad osservare. Wiseman diceva che solo uno dei 2 rompicapo era risolvibile e che gliene avrebbe assegnato uno scelto a caso (in verità erano identici in tutto e per tutto); chiedeva poi a ogni soggetto se dopo averlo osservato riteneva il rompicapo a lui assegnato risolvibile o meno. Sebbene i rompicapo fossero per tutti identici il 60% degli sfortunati dichiarò che il rompicapo era impossibile da risolvere contro il più modesto 30% dei fortunati (assurdo vero? Ma soprattutto assurdo quante volte abbia scritto la parola "rompicapo" nelle ultime sette righe, Grande Giove!) . Wiseman, commentando i risultati scrisse:

"Come in molti altri ambiti della vita, gli scalognati avevano rinunciato ancora prima di iniziare".

Già questo è un dato interessante, ma ci interessa ancora di più capire cosa succede quando invece ci troviamo di fronte ad una prova da affrontare effettivamente. Wiseman ha preso ancora una volta diversi soggetti divisi in fortunati e sfortunati, sulla base dall'autopercezione, e li ha posti di fronte a una grossa sagoma di pezzi metallici combinati insieme. Lo sperimentatore ha detto a tutti che avrebbe smontato la sagoma e ognuno di loro avrebbe dovuto rimontarla. Non ha detto però che era impossibile completare la prova. Questo perchè il dato di indagare, secondo me molto interessante, era riassumibile nella semplice domanda "Chi è più tenace nell'affrontare una prova? Il fortunato o lo sfortunato?". Andiamo a vedere. Gli sfortunati hanno smesso di tentare di rimontare la sagoma dopo meno di 20 minuti, i fortunati invece hanno continuato più a lungo, anche invitati a desistere hanno chiesto ancora tempo e solo una volta che hanno saputo che era impossibile risolvere il rompicapo (e daglie!) hanno desistito. A fine esperimento qualcuno ha anche dichiarato che senza interferenze esterne sarebbe andato avanti fino alla soluzione del rompicapo. Questo studio ci dà delle informazioni molto interessanti. Innanzitutto ci dimostra che il pessimismo, il sentirsi sfortunati, alla lunga fa male. Gli sfortunati infatti tendono a desistere più facilmente davanti a prove particolarmente difficili. Non moltiplicano i loro sforzi per opporsi alla cattiva presunta solrte che li ostacola, ma tendono ad arrendersi ad essa. Sentono di non poter fare nulla per opporsi alla sfortuna e diventano quindi rassegnati. Questo comportamento non è strano a ben vedere, anche nel mondo animale quando non riesce in nessun modo a evitare una "punizione" l'animale si rassegna a riceverla senza reagire assumento il comportamento che gli psicologi chiamano "impotenza appresa". L'altra informazione molto importante che Wiseman ci regala con i suoi studi è quella che il fortunato non si adagia sugli allori, il fortunato non aspetta che la fortuna faccia tutto da sola al suo posto. Al contrario, il loro ottimismo, il loro sentirsi fortunati, li spinge a impegnarsi a fondo anche nelle imprese più ardue. I fortunati tengono duro davanti alle difficoltà perché pensano che prima o poi le cose andranno per il verso giusto.

Questi due atteggiamenti opposti vanno a creare una serie di profezie che si autoavverano. Gli sfortunati davanti a prove difficili si scoraggiano, sanno che la cattiva sorte gli impedirà di raggiungere il successo. La conseguenza di questi pensieri è un atteggiamento rinunciatario che li porta a desistere e non raggiungere gli obiettivi. Ovviamente la causa dell'insuccesso viene attribuita alla sfortuna e non alla scarsa determinazione, andando a creare un circolo vizioso che non finisce più di autoalimentarsi.

Al contrario gli ottimisti si sentono fortunati e davanti a un obiettivo difficilmente raggiungibile insistono confidando nella loro buona sorte. Pensano che prima o poi ce la faranno perché comunque sono fortunati e perseverano moltiplicando gli sforzi. Tutta questa tenacia li premia prima o poi rafforzando la loro idea di essere fortunati. In questo caso, la profezia si autoavvera in senso positivo e genera un circolo questa volta virtuoso che si autoalimenta.

Avendo seguito la genesi di questi fenomeni comportamentali possiamo ora andare a vedere come si applicano al poker per rendere ancora più chiaro come un atteggiamento nei confronti del caso, che abbiamo spesso giudicato solo una nota di colore, può nella pratica incidere notevolmente sui risultati di un giocatore di poker. Prendiamo quindi due giocatori come esempio: "Paperino", che si sente sfortunato e "Gastone", che si sente fortunato. Entrambi giocano a poker ed entrambi hanno un obiettivo molto difficile da raggiungere: arrivare al tavolo finale dell'EPT. Paperino gioca solo MTT, sa che deve giocare in banckroll e sa che deve studiare e impegnarsi per raggiungere questo difficile obiettivo. Purtroppo, come per tutti, arrivano dei periodi difficili. Paperino è un discreto giocatore, ma davanti al periodo difficile pensa: "Eccoci, lo sapevo che la sfortuna sarebbe arrivata come al solito; qualcosina ho vinto, meglio se mi accontento, smetto di inseguire i sogni impossibili e mi tengo quel poco che ho vinto e me lo godo. Inutile rovinarsi un momento divertente, una valvola di sfogo, per un obiettivo che senza fortuna non si può raggiungere, figurarsi poi con la mia sfortuna". Paperino, davanti al momento difficile, ha reagito con l'"impotenza appresa" generata da anni di presunte sfortune. Sente che non può sfuggire alla sfortuna e quindi si arrende di fronte a essa. In verità non è la cattiva sorte che lo intralcia, ma la difficoltà insita nell'obiettivo. Risulta chiaro quindi che la bravura non basta, serve anche la fiducia di riuscire a superare le difficoltà e la lucidità di capire che più che la sfortuna è la scarsa determinazione che gli impedisce di raggiungere l'obiettivo.
Andiamo a vedere "Gastone": anche lui per raggiungere il tavolo finale dell'EPT gioca solo MTT e anche lui sa che deve giocare in banckroll salendo piano piano di livello. Davanti al periodo difficile che arriva anche per lui, il suo pensiero è: " Eccoci, adesso viene il bello! Sapevo che la strada per raggiungere un obiettivo sarebbe stata dura e ora ci siamo. Devo studiare di più e giocare di più, solo così posso farmi trovare pronto quando arriverà la botta di fortuna che mi farà svoltare".

Questo è l'atteggiamento ottimista che porta Gastone a insistere e reagire al momento difficile. Moltiplicare gli sforzi porta questo giocatore a migliorare, a crescere e gioco forza a vincere. La determinazione lo porterà a scalare i livelli e questo continuerà a farlo sentire "un fortunato". Arriverà al tavolo finale dell'EPT? Questo non possiamo saperlo, ma di sicuro continuerà a provarci raggiungendo quindi livelli più alti di quelli di "Paperino", che rassegnato galleggia nei low stakes.

E' importante notare che l'esempio che ho riportato applicato al poker non tratta di un giocatore in debito con la sorte e uno in credito con la sorte, illustra invece gli atteggiamenti di due giocatori che si sentono, semplicemente si autopercepiscono, uno fortunato e l'altro sfortunato. I momenti difficili arrivano per tutti; è il nostro atteggiamento che li rende un monte insormontabile o un'occasione per crescere e questo inevitabilmente si riflette, come abbiamo visto, sulla nostra crescita come giocatori e risultati ottenuti.

Pensateci la prossima volta che vi chiederanno: "Come vedi questo bicchiere?"

Sciauuuzzz!!!

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Luck and bad luck just two points of view?

The game of defining a half full or half empty glass has always been a must for investigating a person's general attitude towards everyday life.

  • How is this glass?
  • Half empty.
  • Okay, you're a pessimist.

If not: "you are optimistic." What do we do with this information? Nothing. Being optimistic or pessimistic has always been a note of color and nothing more. A poker player who feels unlucky, therefore by extension is a pessimist, is considered on the same level as a player who has the same technical level, but instead feels lucky, therefore he is an optimist. In fact, at first glance it seems absurd to argue that two players with the same level of play can achieve different results just because they feel lucky or, on the contrary, unlucky, but it's worth taking a more in-depth look at the matter. As usual I will not base myself on simple impressions, but only on solid scientific data. Faced with a test that could be successful in poker, does someone who feels unlucky behave in the same way as someone who feels lucky? Are you still committed? Does the lucky one rest on his laurels and the unlucky one work harder to close the gap that chance imposes on him? Or does the lucky one work so hard because he is "in trust" as opposed to the unlucky one who feels demoralized due to the efforts castrated by the bad luck he has attacked him? When it comes to luck or bad luck, the authority to which we must refer is Richard Wiseman, an Englishman who has devoted practically all of his activity as a scientific psychologist to studies relating to this area. He also did some experiments to see if people deal with difficulties that arise differently in relation to whether they feel lucky or unlucky. The English psychologist has invited many people to define themselves as lucky or unlucky and then also asking for the reasons. Some of the lucky ones and others of the unlucky ones were subsequently selected to face a test: the subjects were invited to observe in front of two identical puzzles. Wiseman said that only one of the 2 puzzles could be solved and that he would assign him one chosen at random (in truth they were identical in all respects); he then asked each subject whether after observing it he believed the puzzle assigned to him to be solvable or not. Although the puzzles were all the same, 60% of the unlucky ones declared that the puzzle was impossible to solve against the more modest 30% of the lucky ones (absurd, isn't it? But above all absurd how many times I wrote the word "puzzle" in the last seven lines, Great Jupiter!) . Wiseman, commenting on the results wrote:

"As in many other areas of life, the down-and-outs had given up even before they started."

This is already an interesting fact, but we are even more interested in understanding what happens when instead we are faced with a test to actually face. Wiseman once again took several subjects divided into lucky and unlucky, based on self-perception, and placed them in front of a large silhouette of metal pieces combined together. The experimenter told everyone that he would take the template apart and each of them would have to put it back together. However, he did not say that it was impossible to complete the test. This is because the data to investigate, very interesting in my opinion, could be summarized in the simple question "Who is more tenacious in facing a test? The lucky or the unlucky?". Let's check. The unlucky ones stopped trying to reassemble the shape after less than 20 minutes, the lucky ones instead continued for longer, even invited to desist they asked for more time and only once they knew that it was impossible to solve the puzzle (and give them! ) have given up. At the end of the experiment, someone also declared that without external interference they would have continued until the puzzle was solved. This study gives us some very interesting information. First of all it shows us that pessimism, feeling unlucky, hurts in the long run. In fact, the unfortunate tend to give up more easily in the face of particularly difficult trials. They do not multiply their efforts to oppose the alleged bad solution that hinders them, but tend to surrender to it. They feel they can do nothing to resist the misfortune and thus become resigned. This behavior is not strange in hindsight, even in the animal world when it fails in any way to avoid a "punishment" the animal resigns itself to receiving it without reacting assuming the behavior that psychologists call "learned helplessness". The other very important information that Wiseman gives us with his studies is that the lucky one doesn't rest on his laurels, the lucky one doesn't wait for luck to do everything by itself instead of him. On the contrary, their optimism, their feeling lucky, pushes them to commit themselves fully even in the most difficult undertakings. The lucky ones hold on to difficulties because they think that sooner or later things will go their way.

These two opposing attitudes create a series of self-fulfilling prophecies. The unfortunate in the face of difficult trials get discouraged, they know that bad luck will prevent them from achieving success. The consequence of these thoughts is a defeatist attitude that leads them to give up and not achieve their goals. Obviously the cause of the failure is attributed to bad luck and not to lack of determination, creating a vicious circle that never stops self-perpetuating.

On the contrary, optimists feel lucky and in the face of a goal that is difficult to reach, they insist on trusting in their good fortune. They think that sooner or later they will make it because they are lucky anyway and they persevere by multiplying their efforts. All this tenacity rewards them sooner or later by reinforcing their idea that they are lucky. In this case, the prophecy is self-fulfilling in a positive sense and generates a virtuous circle that feeds itself.

Having followed the genesis of these behavioral phenomena we can now go and see how they apply to poker to make it even clearer how an attitude towards chance, which we have often judged only as a color note, can in practice greatly affect the results of a poker player. So let's take two players as an example: "Donald Duck", who feels unlucky and "Gastone", who feels lucky. Both play poker and both have a very difficult goal to achieve: to reach the final table of the EPT. Donald only plays MTT, he knows that he has to play bankroll and he knows that he has to study and work hard to achieve this difficult goal. Unfortunately, as for everyone, there are difficult times. Donald is a decent player, but faced with the difficult period he thinks: "Here we are, I knew that bad luck would come as usual; I won a little something, better if I settle for it, stop chasing impossible dreams and keep what little I have won and I enjoy it. It is useless to ruin a fun moment, an outlet valve, for a goal that cannot be achieved without luck, let alone my bad luck". Donald Duck, faced with the difficult moment, reacted with the "learned helplessness" generated by years of alleged bad luck. He feels that he cannot escape misfortune and therefore gives up on it. In truth it is not bad luck that gets in the way, but the difficulty inherent in the goal. It is therefore clear that skill is not enough, you also need the confidence to be able to overcome difficulties and the lucidity to understand that more than bad luck it is the lack of determination that prevents him from reaching his goal.
Let's go and see "Gastone": he too only plays MTTs to reach the EPT final table and he too knows that he has to play in the bankroll slowly climbing up the level. Faced with the difficult period that also arrives for him, his thoughts are: "Here we are, now comes the fun part! I knew that the road to achieving a goal would be tough and now we're here. I have to study more and play more, just like this I can be ready when the stroke of luck arrives that will make me turn around".

This is the optimistic attitude that leads Gastone to insist and react in difficult times. Multiplying efforts leads this player to improve, to grow and to win. His determination will lead him to climb the levels and this will continue to make him feel "lucky". Will he make it to the EPT final table? We cannot know this, but he will certainly continue to try, thus reaching higher levels than those of "Donald Duck", who resignedly floats in the low stakes.

It is important to note that the example I have reported applied to poker does not deal with a player in debt to fate and one in credit to fate, instead it illustrates the attitudes of two players who feel, simply perceive themselves, one lucky and the other unfortunate. Hard times come for everyone; it is our attitude that makes them an insurmountable mountain or an opportunity to grow and this inevitably reflects, as we have seen, on our growth as players and the results obtained.

Think about it the next time they ask you, "How do you see this glass?"

Sciauuuzzz!!!

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Chance et malchance juste deux points de vue ?

Le jeu de définir un verre à moitié plein ou à moitié vide a toujours été un incontournable pour enquêter sur l'attitude générale d'une personne face à la vie quotidienne.

Comment est ce verre ?
À moitié vide.
D'accord, vous êtes pessimiste.
Sinon : "vous êtes optimiste." Que fait-on de ces informations ? Rien. Être optimiste ou pessimiste a toujours été une note de couleur et rien de plus. Un joueur de poker qui se sent malchanceux, donc par extension est pessimiste, est considéré au même niveau qu'un joueur qui a le même niveau technique, mais se sent plutôt chanceux, donc il est optimiste. En fait, à première vue, il semble absurde d'affirmer que deux joueurs avec le même niveau de jeu peuvent obtenir des résultats différents simplement parce qu'ils se sentent chanceux ou, au contraire, malchanceux, mais cela vaut la peine d'approfondir la question. . Comme d'habitude je ne me baserai pas sur de simples impressions, mais uniquement sur des données scientifiques solides. Face à une épreuve qui pourrait réussir au poker, est-ce qu'un malchanceux se comporte de la même manière qu'un chanceux ? Êtes-vous toujours engagé ? Le chanceux se repose-t-il sur ses lauriers et le malchanceux travaille-t-il davantage pour combler le fossé que le hasard lui impose ? Ou le chanceux travaille-t-il si dur parce qu'il est "en confiance" par opposition au malheureux qui se sent démoralisé à cause des efforts castrés par la malchance qu'il a agressée ? En matière de chance ou de malchance, l'autorité à laquelle il faut se référer est Richard Wiseman, un Anglais qui a consacré la quasi-totalité de son activité de psychologue scientifique aux études relatives à ce domaine. Il a également mené des expériences pour voir si les gens gèrent les difficultés qui surviennent différemment selon qu'ils se sentent chanceux ou malchanceux. Le psychologue anglais a invité de nombreuses personnes à se définir comme chanceuses ou malchanceuses et à demander ensuite les raisons. Certains des chanceux et d'autres des malchanceux ont ensuite été sélectionnés pour faire face à un test : les sujets ont été invités à observer devant deux puzzles identiques. Wiseman a déclaré qu'un seul des 2 puzzles pouvait être résolu et qu'il lui en attribuerait un choisi au hasard (en vérité, ils étaient identiques en tous points); il a ensuite demandé à chaque sujet si, après l'avoir observé, il croyait que l'énigme qui lui était assignée était résoluble ou non. Même si les énigmes étaient toutes les mêmes, 60% des malchanceux ont déclaré que l'énigme était impossible à résoudre face aux plus modestes 30% des chanceux (absurde, n'est-ce pas ? Mais surtout absurde combien de fois j'ai écrit le mot "puzzle" dans les sept dernières lignes, Great Jupiter !) . Wiseman, commentant les résultats a écrit :

"Comme dans de nombreux autres domaines de la vie, les déprimés avaient abandonné avant même de commencer."
C'est déjà un fait intéressant, mais nous sommes encore plus intéressés à comprendre ce qui se passe lorsque nous sommes confrontés à une épreuve à affronter réellement. Wiseman a de nouveau pris plusieurs sujets divisés en chanceux et malchanceux, basés sur la perception de soi, et les a placés devant une grande silhouette de pièces métalliques combinées ensemble. L'expérimentateur a dit à tout le monde qu'il démonterait le gabarit et que chacun devrait le reconstituer. Cependant, il n'a pas dit qu'il était impossible de terminer le test. En effet, les données à investiguer, très intéressantes à mon sens, pourraient se résumer à la simple question "Qui est le plus tenace face à une épreuve ? Le chanceux ou le malchanceux ?". Allons vérifier. Les malchanceux ont arrêté d'essayer de remonter la forme après moins de 20 minutes, les plus chanceux ont plutôt continué plus longtemps, même invités à s'abstenir ils ont demandé plus de temps et seulement une fois qu'ils ont su qu'il était impossible de résoudre le puzzle (et donnez-leur ! ) ont abandonné. À la fin de l'expérience, quelqu'un a également déclaré que sans interférence extérieure, il aurait continué jusqu'à ce que l'énigme soit résolue. Cette étude nous donne des informations très intéressantes. Tout d'abord, cela nous montre que le pessimisme, le sentiment de malchance, fait mal à la longue. En effet, les malheureux ont tendance à baisser les bras plus facilement face à des épreuves particulièrement difficiles. Ils ne multiplient pas les efforts pour s'opposer à la prétendue mauvaise solution qui les entrave, mais ont tendance à s'y soumettre. Ils sentent qu'ils ne peuvent rien faire pour résister au malheur et se résignent ainsi. Ce comportement n'est pas étrange avec le recul, même dans le monde animal lorsqu'il ne parvient en aucune façon à éviter une "punition" l'animal se résigne à la recevoir sans réagir en assumant le comportement que les psychologues appellent "l'impuissance apprise". L'autre information très importante que Wiseman nous donne avec ses études c'est que le chanceux ne se repose pas sur ses lauriers, le chanceux n'attend pas

Laissez la chance faire tout par elle-même à sa place. Au contraire, leur optimisme, leur sentiment de chance, les poussent à s'engager pleinement même dans les entreprises les plus difficiles. Les plus chanceux s'accrochent aux difficultés parce qu'ils pensent que tôt ou tard les choses iront dans leur sens.

Ces deux attitudes opposées créent une série de prophéties auto-réalisatrices. Les malheureux face aux épreuves difficiles se découragent, ils savent que la malchance les empêchera de réussir. La conséquence de ces pensées est une attitude défaitiste qui les conduit à abandonner et à ne pas atteindre leurs objectifs. Évidemment, la cause de l'échec est attribuée à la malchance et non au manque de détermination, créant un cercle vicieux qui ne cesse de se perpétuer.

Au contraire, les optimistes se sentent chanceux et face à un objectif difficile à atteindre, ils insistent pour avoir confiance en leur bonne fortune. Ils pensent que tôt ou tard ils y arriveront car ils ont de la chance quand même et ils persévèrent en multipliant les efforts. Toute cette ténacité les récompense tôt ou tard en renforçant leur idée qu'ils ont de la chance. Dans ce cas, la prophétie s'auto-réalise dans un sens positif et génère un cercle vertueux qui s'auto-alimente.

Après avoir suivi la genèse de ces phénomènes comportementaux, nous pouvons maintenant aller voir comment ils s'appliquent au poker pour mieux comprendre comment une attitude face au hasard, que nous avons souvent jugée comme une note de couleur, peut en pratique grandement affecter les résultats d'un joueur de poker. Prenons donc deux joueurs comme exemple : "Donald Duck", qui se sent malchanceux et "Gastone", qui se sent chanceux. Tous deux jouent au poker et tous les deux ont un objectif très difficile à atteindre : atteindre la table finale de l'EPT. Donald ne joue qu'au MTT, il sait qu'il doit jouer en bankroll et il sait qu'il doit étudier et travailler dur pour atteindre cet objectif difficile. Malheureusement, comme pour tout le monde, il y a des moments difficiles. Donald est un joueur correct, mais face à la période difficile il pense : « Ça y est, je savais que la malchance viendrait comme d'habitude ; j'ai gagné un petit quelque chose, mieux si je m'en contente, arrête de courir après des rêves impossibles et garde ce peu que j'ai gagné et j'en profite. Inutile de gâcher un moment de plaisir, une soupape d'échappement, pour un objectif qui ne peut être atteint sans chance, encore moins ma malchance". Donald Duck, face au moment difficile, a réagi avec "l'impuissance apprise" générée par des années de prétendue malchance. Il sent qu'il ne peut pas échapper au malheur et y renonce. En vérité, ce n'est pas la malchance qui fait obstacle, mais la difficulté inhérente à l'objectif. Il est donc clair que l'habileté ne suffit pas, il faut aussi la confiance pour pouvoir surmonter les difficultés et la lucidité pour comprendre que plus que la malchance c'est le manque de détermination qui l'empêche d'atteindre son objectif.
Allons voir "Gastone" : lui aussi ne joue que des MTT pour atteindre la table finale de l'EPT et lui aussi sait qu'il doit jouer dans la bankroll et gravir doucement les échelons. Face à la période difficile qui arrive aussi pour lui, ses pensées sont : « Nous y sommes, maintenant vient la partie amusante ! Je savais que le chemin pour atteindre un objectif serait difficile et maintenant nous sommes là. Je dois étudier davantage et jouer plus, juste comme ça je peux être prêt quand arrive le coup de chance qui me fera faire demi-tour".

C'est cette attitude optimiste qui pousse Gastone à insister et à réagir dans les moments difficiles. Multiplier les efforts amène ce joueur à s'améliorer, à grandir et à gagner. La détermination le conduira à gravir les échelons et cela continuera à le faire se sentir "chanceux". Atteindra-t-il la table finale de l'EPT ? On ne peut pas le savoir, mais il continuera certainement d'essayer, atteignant ainsi des niveaux plus élevés que ceux de "Donald Duck", qui flotte avec résignation dans les petites mises.

Il est important de noter que l'exemple que j'ai rapporté appliqué au poker ne traite pas d'un joueur endetté envers le destin et d'un créditeur envers le destin, mais illustre plutôt les attitudes de deux joueurs qui se sentent, se perçoivent simplement, l'un chanceux et l'autre autre malheureux. Les temps difficiles viennent pour tout le monde; c'est notre attitude qui en fait une montagne infranchissable ou une opportunité de croissance et cela se reflète inévitablement, comme nous l'avons vu, sur notre croissance en tant qu'acteurs et les résultats obtenus.

Pensez-y la prochaine fois qu'ils vous demanderont : « Comment voyez-vous ce verre ?

Sciauuuzzz!!!

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¿Suerte y mala suerte solo dos puntos de vista?

El juego de definir un vaso medio lleno o medio vacío siempre ha sido imprescindible para investigar la actitud general de una persona ante la vida cotidiana.

¿Cómo es este vaso?
Medio vacío.
Vale, eres pesimista.
Si no: "eres optimista". Que hacemos con esta informacion? Nada. Ser optimista o pesimista siempre ha sido una nota de color y nada más. Un jugador de póquer que se siente desafortunado, por lo tanto por extensión es pesimista, se considera al mismo nivel que un jugador que tiene el mismo nivel técnico, pero en cambio se siente afortunado, por lo tanto es optimista. De hecho, a primera vista parece absurdo argumentar que dos jugadores con el mismo nivel de juego pueden conseguir resultados diferentes solo porque se sienten afortunados o, por el contrario, desafortunados, pero merece la pena profundizar más en el asunto. . Como de costumbre, no me basaré en simples impresiones, sino solo en datos científicos sólidos. Ante una prueba que podría tener éxito en el póquer, ¿alguien que se siente desafortunado se comporta de la misma manera que alguien que se siente afortunado? ¿Sigues comprometido? ¿El afortunado se duerme en los laureles y el desafortunado se esfuerza más por cerrar la brecha que le impone el azar? ¿O el afortunado trabaja tanto porque está "en confianza" en contraposición al desgraciado que se siente desmoralizado por el esfuerzo castrado por la mala suerte que le ha atacado? Cuando se trata de suerte o mala suerte, la autoridad a la que debemos referirnos es Richard Wiseman, un inglés que ha dedicado prácticamente toda su actividad como psicólogo científico a estudios relacionados con esta área. También llevó a cabo algunos experimentos para ver si las personas se enfrentan a las dificultades que surgen de manera diferente en relación con si se sienten afortunados o desafortunados. El psicólogo inglés ha invitado a muchas personas a definirse como afortunadas o desafortunadas y luego preguntando también por las razones. Posteriormente, algunos de los afortunados y otros de los desafortunados fueron seleccionados para enfrentar una prueba: los sujetos fueron invitados a observar frente a dos rompecabezas idénticos. Wiseman dijo que solo se podía resolver uno de los 2 acertijos y que le asignaría uno elegido al azar (en verdad eran idénticos en todos los aspectos); luego preguntó a cada sujeto si, después de observarlo, creía que el rompecabezas que se le había asignado era solucionable o no. Aunque los acertijos eran todos iguales, el 60% de los desafortunados declararon que el acertijo era imposible de resolver frente al más modesto 30% de los afortunados (absurdo, ¿no? Pero sobre todo absurdo cuántas veces escribí el palabra "rompecabezas" en las últimas siete líneas, ¡Gran Júpiter!). Wiseman, al comentar los resultados, escribió:

"Como en muchas otras áreas de la vida, los pobres se habían dado por vencidos incluso antes de comenzar".
Esto ya es un hecho interesante, pero nos interesa aún más entender qué sucede cuando, en cambio, nos enfrentamos a una prueba a la que realmente nos enfrentamos. Wiseman una vez más tomó varios sujetos divididos en afortunados y desafortunados, según la autopercepción, y los colocó frente a una gran silueta de piezas de metal combinadas. El experimentador les dijo a todos que desarmaría la plantilla y que cada uno tendría que volver a armarla. Sin embargo, no dijo que era imposible completar la prueba. Esto se debe a que los datos a investigar, muy interesantes en mi opinión, se podrían resumir en la simple pregunta "¿Quién es más tenaz a la hora de afrontar una prueba? ¿El afortunado o el desafortunado?". Vamos a revisar. Los desafortunados dejaron de intentar volver a armar la forma después de menos de 20 minutos, los afortunados en cambio continuaron por más tiempo, incluso invitados a desistir pidieron más tiempo y solo una vez supieron que era imposible resolver el rompecabezas (¡y darles! ) han renunciado. Al final del experimento, alguien también declaró que sin interferencia externa habrían continuado hasta que se resolviera el rompecabezas. Este estudio nos da una información muy interesante. En primer lugar nos muestra que el pesimismo, el sentirse desafortunado, a la larga duele. De hecho, los desafortunados tienden a darse por vencidos más fácilmente ante pruebas particularmente difíciles. No multiplican sus esfuerzos para oponerse a la supuesta mala solución que les estorba, sino que tienden a entregarse a ella. Sienten que no pueden hacer nada para resistir la desgracia y por eso se resignan. Este comportamiento no es extraño en retrospectiva, incluso en el mundo animal cuando falla de alguna manera para evitar un "castigo" el animal se resigna a recibirlo sin reaccionar asumiendo el comportamiento que los psicólogos denominan "indefensión aprendida". El otro dato muy importante que nos da Wiseman con sus estudios es que el afortunado no se duerme en los laureles, el afortunado no espera
Deja que la suerte haga todo por sí misma en su lugar. Por el contrario, su optimismo, su sentimiento de suerte, les empuja a comprometerse plenamente incluso en las empresas más difíciles. Los afortunados se aferran a las dificultades porque piensan que tarde o temprano las cosas saldrán bien.

Estas dos actitudes opuestas crean una serie de profecías autocumplidas. Los desafortunados ante pruebas difíciles se desaniman, saben que la mala suerte les impedirá alcanzar el éxito. La consecuencia de estos pensamientos es una actitud derrotista que les lleva a desistir y no alcanzar sus objetivos. Evidentemente la causa del fracaso se atribuye a la mala suerte y no a la falta de determinación, creándose un círculo vicioso que nunca deja de perpetuarse.

Por el contrario, los optimistas se sienten afortunados y ante una meta difícil de alcanzar, insisten en confiar en su buena fortuna. Piensan que tarde o temprano lo lograrán porque de todos modos tienen suerte y perseveran multiplicando sus esfuerzos. Toda esta tenacidad les recompensa tarde o temprano reforzando su idea de que tienen suerte. En este caso, la profecía se autocumple en sentido positivo y genera un círculo virtuoso que se retroalimenta.

Habiendo seguido la génesis de estos fenómenos de comportamiento, ahora podemos ir y ver cómo se aplican al póquer para dejar aún más claro cómo una actitud hacia el azar, que a menudo hemos juzgado solo como una nota de color, puede en la práctica afectar en gran medida los resultados de un juego. jugador de póquer Entonces, tomemos dos jugadores como ejemplo: "Pato Donald", que se siente desafortunado y "Gastone", que se siente afortunado. Ambos juegan al poker y ambos tienen un objetivo muy difícil de conseguir: llegar a la mesa final del EPT. Donald solo juega MTT, sabe que tiene que jugar en bankroll y sabe que tiene que estudiar y trabajar duro para lograr este difícil objetivo. Desafortunadamente, como para todos, hay momentos difíciles. Donald es un jugador decente, pero ante el momento difícil piensa: "Aquí estamos, sabía que la mala suerte vendría como siempre; gané algo, mejor me conformo, dejo de perseguir sueños imposibles y me quedo con lo que tengo". poco he ganado y lo disfruto. De nada sirve arruinar un momento divertido, una válvula de escape, por un objetivo que no se puede lograr sin suerte, y mucho menos mi mala suerte". El Pato Donald, ante el difícil momento, reaccionó con la “indefensión aprendida” generada por años de supuesta mala suerte. Siente que no puede escapar de la desgracia y por lo tanto se da por vencido. En verdad no es la mala suerte lo que se interpone en el camino, sino la dificultad inherente a la meta. Está claro, pues, que no basta con la habilidad, también se necesita la confianza para poder superar las dificultades y la lucidez para comprender que más que la mala suerte es la falta de determinación lo que le impide alcanzar su objetivo.
Vayamos a ver a "Gastone": él también solo juega MTT para llegar a la mesa final del EPT y también sabe que tiene que jugar en el bankroll y subir de nivel poco a poco. Ante el período difícil que también llega para él, sus pensamientos son: "¡Aquí estamos, ahora viene la parte divertida! Sabía que el camino para lograr una meta sería difícil y ahora estamos aquí. Tengo que estudiar más". y jugar más, así puedo estar listo cuando llegue el golpe de suerte que me haga dar la vuelta".

Esta es la actitud optimista que lleva a Gastone a insistir y reaccionar en momentos difíciles. Multiplicar esfuerzos lleva a este jugador a mejorar, crecer y ganar. La determinación lo llevará a subir de nivel y esto seguirá haciéndolo sentir "afortunado". ¿Llegará a la mesa final del EPT? Esto no lo podemos saber, pero seguro que seguirá intentándolo, llegando así a cotas superiores a las del "Pato Donald", que flota resignado en las apuestas bajas.

Es importante notar que el ejemplo que he informado aplicado al póquer no se trata de un jugador en deuda con el destino y otro en crédito del destino, sino que ilustra las actitudes de dos jugadores que se sienten, simplemente se perciben a sí mismos, uno afortunado y el otro. otro desafortunado. Vienen tiempos difíciles para todos; es nuestra actitud lo que los convierte en una montaña infranqueable o una oportunidad para crecer y eso inevitablemente se refleja, como hemos visto, en nuestro crecimiento como jugadores y en los resultados obtenidos.

Piénsalo la próxima vez que te pregunten: "¿Cómo ves este vaso?"

Sciauuuzzz!!!

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