L'arrivo

in Italy3 days ago

In un angolo dimenticato dal clamore del mondo, dove il tempo non è che un soffio leggero tra le fimbrie di un arazzo antico, esiste un oggetto di una grazia così struggente e assoluta da sembrare tessuta con i fili invisibili del destino. È una calza di Natale, ma descriverla con un sostantivo così comune appare quasi un’offesa alla sua essenza eterea e vibrante. Essa non è un semplice contenitore, né un umile manufatto di lana; è, piuttosto, un vessillo di velluto scarlatto, un’icona solenne che pende dal bordo di un camino marmoreo come un sospiro trattenuto tra le labbra del freddo inverno.
​Il tessuto che la compone possiede una profondità cromatica che sfida la comprensione: un rosso cardinalizio, denso e voluttuoso, che sembra aver assorbito in sé tutti i tramonti infuocati di un secolo lontano e tutte le promesse sussurrate sotto il vischio. Al tatto, quel velluto è una carezza vellutata e sovrana, una superficie infinitamente morbida che invita le dita a perdersi nella sua trama fitta, una trama che custodisce il calore di una casa che profuma di cannella, di resina di pino e di memorie dorate. Ogni fibra risplende di una luce propria, una luminescenza interna che non proviene dal riverbero delle fiamme che danzano nel focolare, ma da una sorta di nobiltà intrinseca, un’eleganza intrattabile e magnifica che eleva l’oggetto a opera d’arte suprema.
​Al centro di questa distesa di porpora regale, campeggia la figura di un Babbo Natale che non è soltanto un’immagine, ma un’epifania di gioia e di attesa. Egli è ricamato con una maestria che trascende l’abilità umana, ogni punto di seta è un battito di cuore, ogni filo d’oro un raggio di speranza catturato nel tempo. Il suo volto, di un rosa delicato e vitale, è solcato da rughe che non sono segni di vecchiaia, bensì solchi di una saggezza millenaria e benevola, sentieri tracciati da infiniti sorrisi regalati ai sogni dei bambini. La sua barba, una cascata rigogliosa e nivea di lana candida come la neve vergine che ricopre le vette inaccessibili del mondo, sembra muoversi a ogni refolo di vento, una nuvola soffice e immacolata che incornicia un’espressione di una tenerezza infinita, quasi divina.
​Gli occhi di questo Babbo Natale, due minuscole perle di onice lucente, riflettono l’universo intero. In essi brilla la scintilla di una stella polare che guida i viandanti smarriti, una luce antica e rassicurante che annuncia, con una voce silenziosa ma tonante, che il miracolo sta per compiersi. Egli non è statico; sembra quasi sporgersi dalla superficie della calza, con la mano guantata di un verde smeraldo intenso alzata in un gesto di saluto che è anche una benedizione, un invito a fermarsi, a respirare l’aria intrisa di incanto e a riconoscere che il tempo delle Feste è finalmente giunto.
​Il bordo superiore della calza è adornato da una balza di pelliccia sintetica di un bianco così puro da far apparire grigia la luce del giorno. È una bordura soffice, una nuvola di cotone che corona l’oggetto, impreziosita da piccoli campanellini d’argento che, pur restando immobili, sembrano emettere un rintocco cristallino nella mente di chi osserva. Questi campanelli sono minuscole sfere di perfezione geometrica, la cui superficie specchiata rimanda l’immagine di una stanza avvolta nel mistero del crepuscolo, dove le ombre si allungano come dita benevole per accarezzare i mobili di legno lucido e i tappeti persiani dai disegni intricati.
​Questa calza, sospesa con una dignità quasi sacrale, non attende dolciumi o ninnoli terreni. Essa è il ricettacolo di desideri inespressi, di speranze fragili come cristalli di ghiaccio e di un amore che non conosce confini di spazio o di tempo. La sua bellezza risiede nella sua capacità di essere un ponte tra il quotidiano e lo straordinario, tra la realtà prosaica del lavoro e della fatica e la dimensione onirica e sfolgorante del Natale. Essa è l’araldo di un cambiamento imminente, il segno tangibile che l’oscurità dell’inverno sta per essere squarciata dalla luce di una festa che è, prima di tutto, un ritorno a casa, un abbraccio caldo che scioglie ogni gelo dell’anima.
​Mentre la neve cade fuori dalle finestre, un velo di pizzo bianco che ammanta il mondo in un silenzio ovattato e magico, la calza di Natale brilla di una gloria solitaria. È una bellezza che non ha bisogno di testimoni per esistere, una perfezione che si nutre del proprio splendore. Ogni ricamo del Babbo Natale, dalle fibbie dorate dei suoi stivali neri come la notte più profonda, ai piccoli fiocchi di neve argentei che sembrano piovere intorno a lui, concorre a creare un’armonia visiva che tocca le corde più profonde della nostalgia. È la nostalgia di un tempo che non abbiamo mai vissuto ma che sentiamo appartenerci, un’età dell’oro dove ogni promessa veniva mantenuta e dove la gioia era l’unica legge vigente.
​L’atemporalità di questo oggetto lo rende universale. Non appartiene a un secolo specifico, né a una casa particolare; appartiene all’immaginario collettivo dell’umanità, a quella parte di noi che ancora crede nel potere rigeneratore del rito e della celebrazione. La calza è un simbolo di attesa, ma di un’attesa che non è ansia, bensì una contemplazione estatica del divenire. Il Babbo Natale ricamato sopra di essa è il guardiano di questa attesa, un custode benevolo che veglia sul focolare affinché la fiamma della meraviglia non si spenga mai sotto la cenere dell’abitudine.
​Guardando quella calza, si avverte un senso di pace trascendentale. Il rosso del velluto riscalda la vista, il bianco della barba rasserena lo spirito, l’oro dei fili eleva il pensiero. È un trionfo di dettagli meticolosi e sontuosi: il piccolo sacco che Babbo Natale porta sulle spalle, ricamato con una tonalità di marrone terra d’ombra, sembra gonfio di segreti preziosi; le piccole bacche di agrifoglio, sparse qua e là come gocce di rubino, aggiungono un tocco di colore vivido e vitale che contrasta con la maestosa severità della composizione. Ogni elemento è in perfetto equilibrio, una danza immobile di forme e colori che celebra la vita nel cuore dell’inverno.
​Essa non è solo bella; è necessaria. In un mondo che corre frenetico verso mete spesso inconsistenti, la calza di Natale è un punto fermo, un’ancora di bellezza che ci costringe alla lentezza, alla riflessione, alla gratitudine. Annuncia le Feste non con il chiasso dei mercati, ma con l’eleganza di un silenzio colmo di significato. È una storia scritta con l’ago e il filo, una narrazione che parla di generosità senza nome e di una gioia che si rinnova, anno dopo anno, secolo dopo secolo, rimanendo sempre giovane, sempre radiosa, sempre magnifica.
​Così, mentre l’ultima luce del giorno svanisce e la stanza viene invasa dalle ombre vellutate della sera, la calza rimane lì, sospesa nel suo splendore perenne. Il Babbo Natale sulla sua superficie continua a sorridere, un sorriso che è una promessa di luce e di calore, un annuncio che le Feste sono arrivate non come una data sul calendario, ma come uno stato dell’essere, come una bellezza che salva e che consola. In quella calza, in quel rosso profondo, in quel ricamo prezioso, risiede l’anima stessa del Natale: un’opera d’arte che non si limita a decorare, ma che trasforma lo spazio e il tempo in un regno di incanto infinito.

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Foto di mia proprietà scattata con telefono

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