C'è un nuovo sceriffo in città

2746. Una cifra pazzesca che ormai mi tormenta da settimane. In passato mi ci sono avvicinato così tanto da sentire l'ebrezza dell'area rarefatta e del freddo pungente, quello che trafigge le narici. In un'occasione l'ho pure superata, ma non contava nulla, perché si trattava di una "spedizione" non registrata.

Ma ultimamente, nulla da fare. Quella quota "maledetta" sembrava guardarmi con sdegno, dall'alto in basso, quasi come se volesse ribadire la mia inadeguatezza. Sentivo il rumore delle sue risate, di chi si sente al sicuro dagli attacchi. Del resto, come potevo affrontare il peso di un'altra sfida, dopa averne fallite diverse, una dietro l'altra?

E anche se quasi preferirei che davvero fosse così, qui non si parla di una montagna da scalare, di un rifugio da raggiungere o di qualche altra cima particolarmente intrigante da conquistare, ma del record di Steem Pong, che ormai resiste da quasi otto mesi.

2746. Una follia solo pensarci. Mi guardo allo specchio e scuoto la testa:

Ricordami un po', qual è stato il punteggio più alto che hai fatto registrare negli ultimi mesi?

Ecco che se ne va l'ultimo briciolo della mia autostima da gamer. Ma perché i nostri alter ego sono sempre così cattivi?

Lo accontento e rispondo, un po' imbarazzato, rivelando una cifra forse di poco superiore alla metà. Ma non gli lascio il tempo di replicare. Perché se tutti gli underdogs avessero rinunciato in partenza a provarci, non avremmo mai avuto il Verona di Bagnoli, il Leicester di Claudio Ranieri, la Danimarca campione d'Europa nel 1992 o la Grecia del 2004.

E poi Rocky Balboa, la squadra degli Alleati di Fuga per la Vittoria, i Cleveland Indians del film "Major League", il Miracle on Ice di disneyana memoria o il tennista Peter Colt, capace di trionfare a Wimbledon nella pellicola ispirata alla vera storia di Goran Ivanisevic.

Quei DVD che occupano lo spazio riservato alle grandi imprese sportive nello scaffale della mia collezione sembrano quasi, per una volta, voler invertire l'ordine naturale delle cose. Per anni, sono stato io ad emozionarmi con loro, oggi sono loro che guardano me e mi spronano verso l'impresa.

Dieci minuti. Se riesco a respingere i colpi dell'IA per un tale lasso di tempo, ho buone possibilità di trasformare una partita normale in leggenda. Dieci minuti, gli stessi che anche Steve Jobs si concedeva come limite massimo di fronte ad un problema, prima di alzarsi e andare a fare una passeggiata.

E volete sapere quale di quei dieci minuti è il più duro? L'ultimo. Il punteggio sale, così come l'adrenalina. Il sogno è lì, ti sembra quasi di toccarlo, ma allo stesso tempo senti il battito cardiaco che accelera, il sudore che aumenta, la vista che si annebbia.

Nove minuti e cinquantacinque, cinquantasei, cinquantasette. Una sola vita rimasta. Stop. Il messaggio impietoso mi dice che è tutto terminato e io non ho il coraggio di guardare, perché negli ultimi, maledetti, sessanta secondi, sento di aver vanificato ogni sforzo.

2764. Sedici punti in più. Ho vinto per sedici punti. L'equivalente di un secondo, come Rocky Balboa, di un punto, come gli Indians o Peter Colt, di un "miracolo", come la squadra di hockey americana alle Olimpiadi del 1980.

C'è un nuovo sceriffo in città, e anche se non ci faranno mai un DVD, ho adempiuto a mio modo alla profezia di Andy Warhol:

Tutti nella vita hanno diritto al proprio quarto d'ora di gloria...

Avanzo ancora cinque minuti, devo solo capire quando riscattarli.

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