Svezia: quando la mining farm sparisce nel nulla e lascia solo i debiti.

in #cryptocurrency6 years ago

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Un saluto a tutti,

Immaginate lo scenario: neve, freddo, renne, foreste sconfinate, aurore boreali. Ci troviamo nel circolo polare artico in una delle aree più settentrionali della Svezia e forse tra quelle che vede gli inverni più rigidi e freddi. Ora so già a cosa starete pensando, non sono impazzito e non ho sbagliato il titolo di questo articolo: semplicemente questa zona è stata scelta da molte aziende che si occupano di mining di criptovalute (in particolar modo bitcoin) come sede delle loro mining farm e questo perchè le condizioni climatiche sono state ritenute ideali per lo svolgimento di questa attività.

Infatti il costo dell’energia elettrica, derivante da fonti rinnovabili quale quella idroelettrica, è particolarmente conveniente e il clima freddo aiuta notevolmente nel raffreddamento degli ASIC senza dover consumare ulteriore energia per abbassare le temperature degli hardware. Come ho già scritto in altri articoli, i margini di guadagno dei miners sono costantemente in calo per molteplici motivi e quindi riuscire a trovare le condizioni ideali in un luogo dove stabilire la propria attività è un buon punto di partenza per mantere consoni i profitti senza rischiare di subire delle perdite.

Eppure questo ultimo concetto non è sempre vero..

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Ospitare le mining farm è diventata quasi una risorsa per piccole realtà del Nord della Svezia, un affare per entrambe le parti. Infatti per le piccole cittadine della contea svedese di Norrbotten, offrire degli immobili di proprietà comunale per l’insediamento delle società di mining può significare ottenere dei ricavi da zone che restano sovente inutilizzate e sfruttare le risorse naturali per produrre energia elettrica in quantità inusuali, mentre per le mining farm può significare lavorare a costi molto più contenuti in quanto l’affitto in queste aree è molto conveniente e per gran parte dell’anno non è necessario neanche utilizzare sistemi che consumano energia per raffreddare le apparecchiature.

Eppure nel giro di pochi mesi si sono succeduti due casi di fallimento di queste società che minano le criptovalute e che hanno lasciato alle loro spalle solo fatture da pagare. Le comunità coinvolte sono quelle di Älvsbyn and Kalix, che avevano accolto con grande entusiasmo queste iniziative, immaginandole come un’occasione per sollevare le economie locali e che invece hanno dovuto fronteggiare la delusione di ritrovarsi con un pugno di mosche e fatture insolute.

Älvsbyn aveva ospitato nei locali di proprietà comunale la NGDC, società americana con sede a Miami che aveva pure cominciato ad estrarre bitcoin salvo interromprere bruscamente le proprie attività; alla base di questo stop parrebero esserci delle fatture elettriche insolute nei confronti della società energetica Vattenfall. La conferma arriva proprio da quest’ultima che ha chiesto l’avvio del sequstro e della procedura di bancarotta per la NGDC per un insoluto di ben 14 milioni di corone svedesi (circa 1.5 milioni di dollari), ben consapevole che difficilmente riuscirà a rientrare in possesso di quella somma. E’ andata decisamente meglio alle autorità di Älvsbyn in quanto il danno subito consterebbe in qualche mese di affitto non pagato;vani i tentativi di mettersi in contatto con la NGDC, che si è resa irreperibile.

Molto meno pesante il danno a Kalix, cittadina a 100 km ad est, praticamente al confine con la Finlandia; la società che aveva affittato dei locali comunali, la Chasquitech, aveva presentato un piano d’investimento in primavera ma non aveva mai cominciato le attività di mining, lasciando un buco che il consiglio comunale sta cercando di recuperare: mezzo milione di corone (55 mila Dollari) in affitto non pagato.

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Non è sicuramente un periodo facilissimo per le società che si occupano di minare le criptovalute in quanto il crollo del valore di bitcoin ha portato verso il basso il prezzo delle quotazioni di tutte le monete virtuali, riducendo drasticamente i margini di queste compagnie e la ricerca della zona del globo terrestre che più si adatta alla loro attività ne è una chiara dimostrazione. Non fa dunque eccezione questa zona della Svezia che, a causa di un’estate anomala con temperature ben lontane dalle medie stagionali, ha visto un’incredibile ondata di siccità colpire le aree in cui viene prodotta l’energia idroelettrica grazie a fiumi sotterranei e dighe; questo a sua volta ha provocato un innalzamento del costo dell’energia elettrica che ha pesato tantissimo sui margini di guadagno delle società di mining della zona.

Eppure permane un cauto ottimismo sullo sviluppo del settore nei prossimi anni; infatti Patrik Öhlund, CEO di The Node Pole, continua ad essere positivo per lo sviluppo industriale della zona (tra le aziende ospitate figura anche Facebook) e per il settore dell’estrazione delle criptovalute. Il numero di data center ospitati nella zona ammonta a circa 50 aziende e Öhlund è convinto di un raddoppio di questo numero entro i prossimi 5 anni.

In un mondo, quello degli affari, sempre alla ricerca del minimo margine di guadagno, la decentralizzazione delle proprie attività è diventata una consuetudine anche se questo significa trasferire parte delle proprie attività dall’altro capo del globo e in località lontane e sconosciute.
Ma lavorare su margini troppo stretti, senza prendere in considerazione gli imprevisti (vedi la siccità che ha colpito la zona settentrionale della Svezia che ha innalzato il costo dell’energia) è molto incauto e mette in evidenza come nella corsa verso il guadagno del momento, rappresentato dalle criptovalute, spesso ci si improvvisa imprenditori finendo per rimetterci o far rimettere soldi agli altri.

Un saluto, Carlo


Fonte notizia: tothemoonnews

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