"Uccidere" i luoghi più amati: il paradosso dell'overtourism - ‘Killing’ the most beloved places: the paradox of overtourism [MULTILANGUAGE]

in Italy18 days ago (edited)

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Quando ero fanciullo mi divertivo molto a giocare con videogames definiti di tipo manageriale. Se ne trovavano un po' di tutti i tipi, da quello che ti trasformava in un allenatore di una squadra di Serie A ai più classici simulatori della vita di tutti i giorni, in grado di trasportare ogni giocatore nel ruolo di un magnate degli affari.

Tra tutti questi, uno dei miei preferiti era senz'altro Tropico, gioco un po' fuori di testa che invitava il possessore del computer o della consolle a rivestire i panni di un dittatore di una fantomatica isola caraibica.

Si partiva praticamente da zero, con un palazzo presidenziale, un po' di quattrini da investire e un manipolo di abitanti, da mettere a lavorare nei campi o nelle altre attività dell'isola. El Presidente doveva barcamenarsi tra le poche entrate e le numerose spese da sostenere, cercando nel tempo di far sviluppare l'isola (magari anche con l'aiuto di qualche grande potenza estera) senza finire in bancarotta.

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Uno degli obiettivi principali che ogni giocatore di Tropico si prefiggeva era lo sviluppo del settore turistico. Costruire hotel, bar, pub, ristoranti, resort ed altre infrastrutture dedicate al divertimento dei forestieri poteva significare trasformare una fragile nazione in un'economia florida. E quando sull'isola cominciavano ad arrivare i primi turisti, significava avere svoltato verso il successo.

Nel gioco, come nella vita vera, il turismo ha sempre rappresentato una delle voci più importanti di ingresso per un Paese dotato di bellezze naturali o di importanza storica e culturale. L'Italia, la Spagna, la Grecia, solo per citare le prima delle nazioni d'Europa che vengono in mente, hanno sempre fatto del settore turistico uno dei propri fiori all'occhiello. Almeno finché la cosa non è sfuggita di mano.

Già, perché da almeno un paio d'anni si sta registrando una clamorosa inversione di tendenza: quei luoghi che prima si battevano tra di loro per cercare di strappare visitatori alle località vicine, si sono risvegliati saturi di turismo e stanno clamorosamente cercando di tornare indietro. In altre parole, i turisti non sono più i benvenuti.

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Ad Aprile dell'anno scorso decine di migliaia di abitanti delle Isole Canarie hanno organizzato una grande manifestazione di massa, caratterizzata dallo slogan "Canarias tiene un límite" (le Canarie hanno un limite).

La situazione si è ripetuta soltanto qualche mese più tardi, sul finire dello scorso anno, quando i residenti sono scesi nuovamente per strada per protestare contro i turisti che invadevano le spiagge al grido disperato di "Questa spiaggia è nostra". In particolar modo, in coincidenza con le vacanze estive o con le festività, il problema riesplode prepotente, accompagnato dall'esasperazione dei cittadini.

Non sono solo le Canarie a soffrire del fenomeno dell'overtourism, ma anche numerose altre destinazioni spagnole, come Barcellona, le Baleari o l'Andalusia: si calcola che la Spagna attragga quasi cento milioni di turisti ogni anno, a fronte di una popolazione che non arriva ai 50, con particolare concentrazione nelle isole (14 milioni alle Canarie, contro 2 milioni di residenti).

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E da noi, come vanno le cose? Sebbene meno diffuso, il fenomeno inizia ad affacciarsi anche in Italia e proteste analoghe si sono registrate a Venezia, Firenze, nella zona delle Cinque Terre e in Alto Adige, dove sono apparse scritte polemiche sui sentieri (Tourist, go home!) e nei pressi delle funivie.

Insomma, il turista, da gallina dalle uova d'oro si sta trasformando sempre più spesso e alla velocità della luce in un soggetto sgradito. Ma perché un fenomeno in grado di portare con sé soldi e investimenti, come il turismo, non è più ben accetto dai residenti e da molte amministrazioni cittadine?

Il motivo è semplice: un eccessivo numero di turisti, il più delle volte attratto dal costo irrisorio dei voli low-cost, è in grado di produrre più effetti negativi che positivi. In primo luogo sulle abitazioni e sui costi degli affitti, arrivati alle stelle, poi sulla viabilità, la tranquillità (soprattutto notturna), la sanità, il decoro e sulla sicurezza, dato che le forze dell'ordine e il personale medico e gli operatori ecologici non riescono a far fronte alle troppe richieste.

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Il modo adottato per combattere il fenomeno tuttavia è stato perlopiù quello di accanirsi contro i proprietari di appartamenti destinati agli affitti brevi, tartassati (anche in zone non colpite dall'overtourism) con una nuova serie di astruse e complicate leggi, regolamenti e balzelli.

Questo approccio non incide sulla radice del problema: un massa abnorme di persone che si sposta perlopiù negli stessi luoghi e negli stessi periodi. Occorrerebbe ripensare il modello turistico da zero, diluendo gli afflussi dei posti più gettonati durante tutti i mesi estivi (e anche oltre), anche se si tratterebbe di un cambiamento radicale, con troppi attori da mettere d'accordo.

Più semplice, forse, investire nella comunicazione e far comprendere ai vacanzieri che esistono mete meno gettonate ma ugualmente in grado di far vivere un'esperienza piacevole a chi le visita. In ogni caso, sulla mia isola, c'è sempre spazio per tutti.

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