La bimba col flash

in #ita6 years ago (edited)

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Molti anni fa, inaspettatamente, mia madre ricevette una visita diversa dalle solite.
Generalmente, le sue amiche erano donne come lei, piccolo borghesi, sposate, magari insegnanti o impiegate. Le loro vite erano sostanzialmente simili, pur nelle varianti individuali legate al temperamento.
All’epoca, io frequentavo ancora l’università e, mentre stavo studiando per un imminente esame, in un assolato e faticoso pomeriggio di giugno, sentii suonare il campanello.
Andai ad aprire pensando che fosse mia sorella.
Invece mi trovai davanti una donna dell’età di mia madre, vestita, però, da ragazza. Indossava jeans e una camicia larga azzurra.
Era minuta, ma molto proporzionata e con una capigliatura riccia e ribelle, il cui colore biondo cenere non era certo naturale.
“Ciao” mi disse “Sono Rosa. E immagino che tu sia Giulietta, tua madre parla sempre di te nelle lettere che ci siamo scambiate in questi anni”
Rosa. L’amica ribelle. Quella che un giorno se n’era andata per il mondo a fare la fotografa, con grande costernazione dei suoi.
Nei primi anni ’60, tre mesi dopo essersi sposata, era praticamente scomparsa, lasciando marito e genitori nella più profonda costernazione.
Di preciso, però, nessuno aveva mai capito cosa l’avesse spinta a un passo così estremo.
Neppure mia madre, una delle sue più care amiche, lo sapeva.
Ovvero: nelle lettere, circa due all’anno, che si scambiavano, aveva sempre parlato della sua passione per la fotografia e poi del suo lavoro per una rivista femminile (di cui mia madre era lettrice fedele),
ma non aveva mai spiegato come fossero andate le cose.
Il marito, un medico molto stimato, aveva chiesto l’annullamento alla Sacra Rota e lei non si era opposta, anzi.
I genitori ne avevano fatto una malattia. Si vergognavano, non capivano e non giustificavano.
Così lei non era mai più tornata a Grosseto fino a quel momento.
Erano passati ventiquattro anni.
Paola, sua sorella, l’unica della famiglia con cui si sentiva, le aveva detto che suo padre era gravemente malato e voleva vederla. E così era arrivata da Milano, per trattenersi qualche giorno e fare finalmente pace con i genitori e col passato.
Per me fu come se si materializzasse il personaggio di un romanzo. Nella nostra piccola città, lei era una nota fuori spartito, quella che aveva seguito percorsi inconsueti e discutibili.
Lei si accorse che la guardavo con curiosità e cercò di mettermi a mio agio, dicendomi di darle del tu e proponendomi di andare a prendere un gelato insieme , così avrei fatto una piccola pausa dallo studio e ci saremmo conosciute meglio.
Sedute al bar, ordinammo due coppe miste con panna e, mentre gustavamo sapori squisiti, Rosa ruppe gli indugi e, con mia grande sorpresa, disse: “Giulietta, mi sembri davvero una ragazza intelligente e simpatica. Ti leggo negli occhi la curiosità per la mia storia e ho deciso di regalartela, a patto che tu ne faccia buon uso, non divulgandola adesso. Magari, un giorno, però, potresti scrivere un racconto che parli di me. Mi ha detto tua madre che hai passione per la letteratura e la scrittura. Ebbene: ti fornisco l’ispirazione, uno spunto originale”.
Ero emozionata e la ringraziai per il dono che mi stava facendo.
“Allora – continuò – Nel 1960, l’anno prima che tu nascessi, io mi sposai a luglio, con il mio storico fidanzato. Un medico, capisci, all’epoca uno dei partiti più ambiti nel nostro ambiente. Ernesto, così si chiamava, era anche un bell’uomo. Ora mi dicono che sia molto ingrassato, ma allora era sì robusto, ma muscoloso e proporzionato, con un bel sorriso aperto.
Come immagino tu sappia, lavoravo nel negozio di fotografia di mio padre. Facevamo servizi per comunioni e matrimoni, soprattutto, ma anche lavori per il quotidiano locale. Io ero molto brava nel cogliere in un’immagine il succo di una notizia e il caporedattore cercava sempre di me.
La bimba col flash, mi chiamava. "Non voglio te - diceva a mio padre - manda la bimba, lei ha il cuore nell'obiettivo!".
Ernesto tollerava questa attività, ma, più che un lavoro, la considerava un hobby remunerato. – Finchè non avremo figli – diceva – potrai continuare a giocare con la macchina fotografica, poi vedremo”.
Quando sentivo questi discorsi, mi si stringeva il cuore, pensavo che non avrei mai lasciato il lavoro, ma non avevo il coraggio di dirlo.
Il matrimonio aveva aspetti che mi pesavano: cucinare, gestire la casa, proprio non erano faccende nelle mie corde.
Avevo una domestica che mi aiutava nei lavori più pesanti, ma la routine mi opprimeva ugualmente.
Non riuscivo ad essere una mogliettina vezzosa come tua madre e come le altre nostre amiche.
Inoltre, ero abbastanza delusa dall’intimità coniugale. Mi ero aspettata un po’ di più di emozione…
Comunque, forse, sarei rimasta se un giorno di ottobre non fossimo andati al luna park.
“Al luna park?” feci io, sbigottita.
“Sì. In autunno, ogni anno, giungeva a Grosseto un parco dei divertimenti itinerante.
Montagne russe, la ruota panoramica, un paio di giostre e poco più. Però, a me era sempre piaciuto andare e scattare qualche foto”
“E’ vero – dissi- anche mia madre ha una foto sulla ruota panoramica, gliel’hai scattata tu?”
“Certamente – rispose lei compiaciuta – Ricordo bene quel giorno.
Comunque, quell’anno, chiesi al mio neo-sposo di accompagnarmi e lui, benchè trovasse la cosa piuttosto infantile, accettò.
Mi pare ancora di sentire la musica che suonava.

Buondì, bambina mia buondì, c’è tanto sole nel mio cuor,
buondì, mio dolce amor…
Invidio il vento che bacia le bimbe come te,
potessi baciarti felice, felice, stringendoti a me ... >

Io scattavo foto, lo facevo ogni anno, soprattutto ai bambini sulla giostra. Molti genitori, poi, venivano in negozio a vedere i provini e scegliere le fotografie migliori dei loro pargoli.
Ernesto si era fermato a parlare con alcuni amici, mentre io proseguivo tra gli stands.
Giunta alla ruota panoramica, decisi di salire per scattare qualche immagine dall’alto.
C’era un bellissimo ragazzo a fare il biglietto.
Capelli e occhi neri, colorito abbronzato e un fisico atletico.
Ma, soprattutto, aveva un sorriso, Giulietta mia, ma un sorriso…
Negli occhi di Rosa passò un lampo di malizia.
“Signorina fotografa – mi disse – posso chiederle il suo nome?”
“Signora – risposi- sono sposata. Comunque mi chiamo Rosa”
“Un nome stupendo – fece lui – Ti sta proprio bene, sei profumata come una rosa. Io sono Raoul”
Ero imbarazzata, ma poi salii sul vagoncino della ruota e lasciai a terrà il bel giostraio. Dall’alto, presi a scattare foto panoramiche, ma, guardando giù, mi accorsi che Raoul non mi staccava gli occhi di dosso.
Una volta giunta alla fine del giro, scesi dalla ruota, ma il giovane non mi mollò. Anzi, lasciò un uomo più anziano, credo il padre, a fare i biglietti, e prese a seguirmi.
“Sono con mio marito” dissi.
“Sì, certo, Rosa. Ma sei talmente bella, così felice di vivere e di fotografare la vita. Puoi tornare domattina da sola? Voglio che tu mi faccia qualche foto… Su, ti prego…”
Mi allontanai, turbata, certo, ma anche attratta da quella vitalità che traspariva dal ragazzo.
Pensavo che non sarei dovuta andare, ero una donna sposata, però, in fondo, si trattava solo di qualche foto, era il mio lavoro…
Con questo alibi di innocenza, la mattina dopo tornai al luna park, deserto.
Raoul mi aspettava seduto davanti alle montagne russe.
Gli scattai alcune foto e, mentre lo inquadravo, ero ammirata dalla sua bellezza un po’ selvaggia, dai capelli fluenti e ribelli.
“Vieni – mi disse – ti porto a fare un giro nel labirinto degli specchi. E’ molto divertente”
Entrammo. In effetti, gli specchi deformavano le nostre immagini e mi sembrava che anche i miei pensieri stessero perdendo forma mentre io perdevo il senso dell’orientamento e Raoul mi prendeva per mano per guidarmi. In un momento mi trovai tra le sue braccia e … oltre.
Quegli specchi, Giulietta, ancora li vedo. E poi … Tornare a casa inebriata, ma consapevole che non era certo Raoul l’uomo della mia vita. Neppure Ernesto, però.
La sera stessa presi una decisione.
Radunai le mie cose e tutto il denaro di cui disponevo (non poco, dato che guadagnavo piuttosto bene) e presi il primo treno per Roma, senza avvisare nessuno.
Solo il giorno dopo telefonai a casa dei miei e rispose mia sorella, preoccupatissima. Le dissi che la mia vita non era a Grosseto, non era con Ernesto e non sapevo neppure quale fosse e dove, ma sicuramente con la fotografia e senza vincoli di sorta.
Il resto lo sai, almeno a grandi linee. Lavoro con passione, ho avuto molte soddisfazioni, gratificazioni anche economiche. Ho conosciuto tanta gente, frequentato ambienti stimolanti, giornalisti, scrittori, artisti. Ho anche amato molto, se vuoi saperlo, ma non mi è mai interessato avere una famiglia”
“E Raoul? L’hai rivisto?”
“Francamente no. Lui, per me, è stato un grimaldello, una piacevolissima evasione che mi ha fatto capire che c’era altro oltre il “debito coniugale”. Che l’emozione non poteva essere barattata con la sicurezza, almeno per me. Che Ernesto era un simulacro del passato, quello che i miei genitori volevano, ma noi non eravamo fatti l’uno per l’altra. Io ero “la bimba col flash”, non una signora borghese.
Ma, se non fossi andata al luna park quel giorno, chissà, forse non l’avrei mai capito e ora sarei una moglie depressa e imbottita di psicofarmaci”.
Tornammo verso casa. Mia madre era tornata e fu felicissima di rivedere finalmente la sua amica.
Rosa, nel salutarmi, mi abbracciò e mi disse: “Auguri per tutto, tesoro, sii sempre fedele a te stessa e segui i tuoi sogni. Si può vivere o sopravvivere, ma ricorda che ogni giorno, se vuoi, può essere un miracolo”.

FINE

Con questo racconto, partecipo a Theneverendingcontest n.11

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Una storia meravigliosa, e di grande coraggio, dove una donna apparentemente folle è in realtà la più lucidamente sana di tutti.

proprio bella questa storia, una donna molto forte e che ha seguito i suoi sogni.

Bella storia, ben scritta! Peccato che le adolescenti di oggi anelano più al fidanzato-marito-compagno di vita, accontentandosi di quello che trovano piuttosto che seguire principalmente i propri sogni. Ci sono madri che schiacciano i propri figli per paura di perderli e questi psicologicamente succubi scelgono la strada più facile, quella della comodità e non dell'emozione, come hai scritto tu. Vedo ragazze, con dei potenziali alti, sedersi in poltrona con compagni, che suscitano meno emozione di un bradipo in calore, e adagiarsi in una vita di comodo perché alla fine hanno paura di tutto...della solitudine, del giudizio, del rischio. Ad oggi in effetti vi è una controtendenza rispetto al passato e a quel desiderio di emancipazione femminile. Spero di sbagliarmi, ma per il lavoro che faccio mi confronto con i giovani (un centinaio all'anno) di diverse età e il quadro che ne esce non è confortante! Ci sono pochi artisti dell'anima, essi sono coccolati fino all'estremo dalle proprie famiglie che impediscono loro di crescere e maturare. Passano dalla comodità familiare (mater et pater) alla comodità del compagno/a!
Scusa l'intrusione, ma mi sta molto a cuore questo messaggio! Brava e buona giornata!

concordo con ciò che hai scritto. Ci sarebbe meno infelicità se le persone, e soprattutto le ragazze, si impegnassero per seguire i propri sogni, il proprio daimon, che non può identificarsi con un uomo.

Perfettamente d'accordo, sfondi una porta aperta!

Peccato che le adolescenti di oggi anelano più al fidanzato-marito-compagno di vita, accontentandosi di quello che trovano piuttosto che seguire principalmente i propri sogni

Le adolescenti di oggi?! E in quale epoca non è stato così?! Sinceramente credo che questo sia il destino inculcato nella testa delle donne (e che le donne hanno abbracciato) fin dalla calata dei Dori in Attica (se non ricordo male) che pose fine alle società matriarcali, ovvero parecchi millenni fa. E' difficile sradicare quello che si è un po' incistato anche nel nostro DNA, soprattutto se l'emancipazione è vecchia di appena una cinquantina di anni (e non riesce ad essere nemmeno lontanamente capillare).
Non c'è niente di più difficile e faticoso che coltivare se stessi e le proprie aspirazioni.

Le adolescenti di oggi saranno le donne di domani, è una proiezione futuristica decadente...
Perfettamente d'accordo!

Che bdlla storia!

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Gradevole storia, di un'emancipazione raggiunta e conquistata sulla propria pelle, è giusto seguire le proprie inclinazioni, anche andando contro le consuetudini e il conformismo, che fa più danni della grandine