Van Gogh: l'ultimo giorno

in #ita6 years ago

L'ULTIMO GIORNO

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Un forte vento ha accompagnato il suo ultimo grido disperato, confuso, soffocato da un rombo crudele, la voce assordante di un mostro di acciaio che ha squarciato il cielo e spalancato le porte alla via del non ritorno.
Era il 29 luglio 1890, il giorno in cui il sonno eterno della morte pose fine all'esistenza del mio padrone, del mio migliore amico, del più grande uomo che io abbia mai conosciuto.
Quella mattina il cielo era come di gelatina, di colore intenso, dal dolce turchino al blu più profondo. Tutto intorno pace e silenzio, una grande solitudine, una serena desolazione. Ci eravamo alzati all'alba per godere di quella fresca aria che nel rosa del mattino coccola il mondo al suo risveglio, per dar vita all'ultima tela, per porre il sigillo ad un grande amore per l'arte.
In silenzio ci avviammo lentamente per le strade di Arles, sotto l'ombra nera dei cipressi ancora addormentati - cari cipressi, quante volte hanno cominciato a respirare verso il cielo uscendo dalla punta delle mie dita - sempre più soli, sempre più in là per le strade impolverate, dove piccoli granelli giocano a farsi trasportare dal vento e ad imbiancare le scarpe.
Il suo silenzio per me valeva più di mille parole, sapevo che cosa voleva che facessi semplicemente guardandolo negli occhi, quei grandi occhi nocciola, ipnotici, capaci di insinuarsi al centro della mia anima e far tremare ogni parte del mio corpo.
Appena arrivati i corvi fecero danze sinuose sopra di lui, augurandogli il buon giorno, le spighe di grano reclinarono il capo e si inchinarono per abbracciargli i piedi. Vincent aveva sempre amato i campi di grano.
Si inginocchiò ad accarezzare le loro testoline, sorridendo, baciandole sulla punta del naso, poi si distese in mezzo a loro, il viso verso il cielo. Il sole con amore gli baciava le labbra, il vento con tenerezza gli accarezzava i capelli.
Un campo di grano - mi disse - è come la vita dell'uomo. Riesci a vedere la scintilla dell'oro, dell'ocra, del giallo tenero che si fondono con pienezza? Riesci a sentire il fruscio delle spighe che solletica il tuo orecchio e ti lascia nella mente note di indicibile leggerezza, un suono puro e placido, di lande sconfinate e di paesi sognati, di grande bellezza e di maestosità? Riesci a godere del profumo del campo inondato dal sole, quando il cielo si fonde con la terra e la terra si innalza al cielo?
Noi siamo spighe di grano. Non ancora mature siamo di colore dorato, scuro, di un bronzo rossastro, cosa che risalta ancora di più per contrasto con il color cobalto dei frammenti di cielo. L'effetto sta nell'analogia tra la tonalità rotta dell'indaco con quella del cobalto, resa ancor più forte dai tocchi nascosti di arancione tra il color bronzo rossastro del grano. La primavera è tutto grano giovane, verde tenero e meli in fiore. L'autunno è il contrasto delle foglie gialle con delle tonalità di viola. L'inverno è la neve con delle immagini nere che vi si stagliano sopra. Però non è facile trovare un effetto di sole estivo che sia altrettanto semplice, ricco e piacevole a guardarsi, caratteristico quanto gli effetti nelle altre stagioni.
La mia vita è un'estate perenne, è la spiga al più alto culmine della sua bellezza. Ma come la spiga una volta giunta al giusto grado di maturazione sarà recisa mentre danza col vento dalla fredda mano del mietitore, così per me sta per giungere il momento di cadere a terra spezzato. Inutili le parole, inutili i colori, inutili le tele. E' stato tutto inutile. Pazzo. Mi chiamano pazzo. Io non lo sono, non lo sono mai stato. Il mio errore è stato soltanto quello di aver visto al di là, la vera essenza delle cose, di aver colto il senso profondo della nostra esistenza e di aver creduto di poterlo gridare agli altri. Invece no. Non è possibile. Tutti gli uomini ondeggiano al vento aspettando il tempo e le ombre della mietitura e solo il loro cuore potrà rivelargli la verità. Ma ormai è tardi, il sole è già alto e io non sopporto più quel bruciore nel petto, quella calda passione che mi ha spinto a tentare, a cercare di rivelare il più grande segreto. Forse questo fuoco potrà essere placato da un altro, mortale, liberatore. Addio mio piccolo amico.”
Lo sparo riecheggiò per i campi, i corvi gridarono, le spighe piansero, i cipressi si inginocchiarono, le nubi si addensarono per rendere il loro ultimo omaggio al grande Vincent.
In quanto a me sono fuggito e adesso sono immobile, paralizzato in una angusta scatola, ancora incrostato di quel giallo lucente. Se qualcuno sapesse di me mi farebbe diventare un pezzo da museo, mi venderebbe per miliardi, io, il fedele compagno di Vincent. No, io voglio restare solo, nel buio, a ricordare quell'uomo che ha amato e sofferto così tanto, che ha fissato il sole, rubandone la forza, fino ad accecarsi.

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