L'Occhio Filtrato - la realtà attraverso un telefonino
Nei miei ormai oltre 10 anni di fotografia come professione, ho visto cambiare molte cose.
L’approccio alle e le mode delle cerimonie. Gli stili. Le aspettative.
C’è un flusso, formato da tanti pezzetti che chiamiamo cultura, che cambia regolarmente e si trasforma.
Anche il cibo, nei ricevimenti, e la relativa presentazione cambiano.
(Nella foto: una scena consueta durante le cerimonie. Foto dell'autore.)
Io ho cominciato a fare foto quando avevo cinque anni. Questo accadeva, ormai, 39 anni addietro, mese più mese meno.
Avevo una Voigtlander, una fotocamera tosta e solida, spartana nelle impostazioni base, e non era ancora nemmeno una reflex, ma una telemetro.
Ho imparato quindi in maniera così base, così scolastica, che di più credo non si possa – a meno di non usare un foro stenopeico.
Da lì la mia prima reflex, e poi nei primi anni del 2000 le prime, scarsissime in termini di resa ma emozionanti nell’uso per la velocità di scatto – download – postproduzione – esportazione, fotocamere digitali.
Ricordo ancora, benissimo, il lamento funebre dei Fotografi, quelli vecchi dentro, quelli che poi sono praticamente scomparsi entro pochi mesi o anni.
Un lamento rivolto a questo orrore, questa apertura a chiunque della possibilità di fare e lavorare delle foto, questa volgarità del vedere subito lo scatto e – eventualmente – rimediare aggiustando subito i parametri e scattare di nuovo.
Questo ovviamente non è vero, non lo è mai stato: se hai perso una certa fotografia, un certo momento, non lo recuperi più. E per farlo, per non perderlo, devi essere un Fotografo. Ma non divaghiamo.
La strada era ormai spianata, e non poteva andare diversamente. Oggi tutti possono scattare foto, di qualità sempre maggiore (parlo di qualità del file, non è migliorata la qualità assoluta delle fotografie), con un numero sempre maggiore di dispositivi dotati di una, due, tre fotocamere.
Ricordo ancora, benissimo, il lamento funebre dei Fotografi, quelli vecchi dentro, quelli che poi sono praticamente scomparsi entro pochi mesi o anni.
E d’altra parte, come in qualunque altro aspetto della vita, a cosa serve lamentarsi? Nel nostro caso specifico, si sarebbe mai potuto fermare il progresso? Certamente, no.
Dalla possibilità di riprendere e fotografare per tutti e sempre, si è poi progressivamente andati verso il dover riprendere e fotografare tutti e sempre.
Il nuovo Lamento funebre dei miei colleghi è quello del “tutti coi telefonini e tablet alzati, invece di viversi il momento”.
Possiamo discutere per tutto il tempo che vogliamo su quanto possa essere giusta questa frase, ma la realtà è un’altra, e cioè che culturalmente l’esperienza della realtà – attraverso dispositivi mobili e soprattutto nella loro accoppiata coi social – è semplicemente cambiata.
Che sia un cambio passeggero o epocale, lo dirà la storia.
Qualche settimana fa ho accompagnato mio nipote, che ha 11 anni, al concerto di Fedez. L’età media del pubblico credo fosse tra i 15 e 16 anni, e mi ha impressionato la quantità di telefonini alzati, per tutto il tempo!, a riprendere, fotografare e, ovviamente, condividere, in diretta o più tardi in differita.
Mio nipote ha passato il tempo del ritorno in auto, circa 2 ore, a commentare questo e quel post di amici suoi che erano stati al concerto.
Ora, non potendo io come nessun altro fermare un fenomeno che prenderà la strada e l’evoluzione che deve prendere, e non essendo propenso a giudicare, prendo semplicemente atto che il piacere di mio nipote legato all’esperienza concerto è stato amplificato e prolungato dalla condivisione.
Non ricordo che, da ragazzo, concerti che per me rappresentavano punti cruciali della mia esperienza di ascoltatore (Iron Maiden, nell’ormai lontato 1993, ad esempio), siano andati oltre l’immediato momento e, poi, le chiacchiere di ricordo con la ristrettissima cerchia di amici che erano stati al concerto con me.
Non sono un sociologo, non riesco a capire se si tratti di voglia di appartenenza, di sentirsi nel mondo, o cosa, mi limito alle riflessioni sul concetto di IMMAGINE.
L’immagine è potente, e c’è sempre (e a quanto pare, sempre di più) un gran bisogno di immagini.
Ed è per questo, secondo me, che serviranno sempre e sempre di più fotografi professionisti capaci non solo di fare belle foto, ma anche di dare un senso – tramite un punto di vista sul mondo – a quello che è visibile e meritevole di essere raccontato.
Il mondo cambia velocemente, lamentarsi dei cambiamenti e come voler arginare lo straripamento di una diga a mani aperte.
Serve, invece, provare a capire e adattarsi.
Il mondo cambia velocemente, lamentarsi dei cambiamenti e come voler arginare lo straripamento di una diga a mani aperte.
Delle riflessioni stupende, prive di giudizi su un'epoca in velocissimo movimento e piene, invece, di acute osservazioni su come il cambiamento, a volte, nasconda degli aspetti sorprendenti.
Una splendida fotografia in parole.
Grazie mille :)
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