Sei come un quadro.
Non capivo perché mi piacesse così tanto scrivere di lui, descriverlo oggettivamente con piccoli dettagli che mi saltavano all’occhio e provare a mettere per iscritto la sensazione di pace e allo stesso tempo euforia che sentivo ogni volta che era accanto a me. Non era amore ancora e non era nemmeno ammirazione, in fondo non condividevo molto del suo modo di agire e pensare, ma qualcosa mi spingeva a scriverci e pensarci su. Era proprio come la metafora che mi saltò fuori in una serata casuale di gennaio, un quadro, di quelli che non sai se ti piace o lo trovi terribile, non ti suscita né positività né negatività e senti che potresti restare a fissarlo per sempre pur di capire cosa quell’artista intendesse trasmettere con tali figure e colori. Ho passato anni a passarci davanti a quel quadro, senza mai notarlo, guardandolo di sfuggita; poi quando mi ci sono fermata davanti ha aperto porte e cancelli che non pensavo neanche esistessero. La mente era sfuggita al mio controllo e ho visto davvero altri mondi, o almeno ho iniziato a immaginare che ci fossero. L’idea di adattarmi a quello che già c’era improvvisamente mi faceva ribaltare lo stomaco, tutto sembrava più stretto e confinato e la voglia di strappare le corde ribolliva come un fuoco. È strano vero? Incontri così tante persone nella tua vita e nessuna sembra in grado di farti esplodere, nonostante l’amore, l’affetto e la passione, ti tengono confinato in quegli schemi così noiosi e poco parte di te alla fine, incitandoti a camminare invece che correre, a respirare invece di urlare. Poi arriva qualcuno per cui non nascono grandi sentimenti o passioni infuocate, nessun destino, nessun fato o filo rosso, solo una mente che in qualche modo incita a liberare la tua. E ti senti perso, come su una giostra che gira e non sai dove fermarti, un enorme valanga di dubbi e aspirazioni che si frammentano nella tua testa, un senso di vuoto che non ti fa sentire parte del mondo e un senso di pienezza che ti fa sentire come se potessi andare ovunque. Eppure, io in confronto a lui ero ancora così confinata, così stretta e tendenzialmente vuota, lui girava su una giostra molto più grande che ogni tanto lo portava a cadere giù per poi risalire con ostinazione. Il mio ruolo nella sua vita era marginale e centrale allo stesso tempo e nonostante i mille dubbi, non mi dispiaceva. Una sera, dopo qualche birra e con qualche amico, mentre camminavamo al freddo per una città a quell’ora vuota, si sedette in mezzo alla strada; “quante volte puoi farlo?” - “bella domanda” pensai. Così, munita di vestito e calze andai a sedermi proprio di fronte a lui, senza neanche pensare alle macchine che sarebbero potute arrivare gli lanciai una risata che mi tornò indietro. Lì pensai che fosse qualcosa di grosso, perché anche una cazzata del genere, io prima non l’avevo mai fatta.
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