Un fortunato venerdì 17steemCreated with Sketch.

in #ita4 years ago (edited)

Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 66 S1-P4-I2 di @storychain sulla base delle indicazioni del vincitore precedente @road2horizon

Tema: Compleanno
Ambientazione: Berlino


Pixabay License


Pioveva a dirotto, quella mattina, e faceva un gran freddo. Di sicuro entro qualche settimana sarebbe arrivata la prima neve: il meteo lo annunciava già.

Laura non aveva sentito la sveglia e senza nemmeno fare colazione, quasi ancora in pigiama, si era catapultata alla fermata dell’autobus, ma aveva già perso il mezzo per andare a lezione. Si ritrovava quindi a correre a perdifiato per raggiungere un’altra fermata, dove sperava di acchiappare al volo un altro mezzo diretto all’università. Mentre stava per arrivare alla sua destinazione, un’auto frettolosa accelerò di botto allo scattare del verde di un semaforo, spruzzandole addosso, su tutta la metà sinistra del corpo dalla spalla in giù, più acqua di quanta non ne fosse già caduta dal cielo durante la notte. “Davvero un ottimo inizio per un venerdì 17 novembre” pensava Laura furiosa “... e poi dicono che la sfortuna non esiste! E non sono ancora le 8 del mattino!”.
Raggiunta a fatica l’università dove da un paio di mesi svolgeva l’Erasmus, si diresse rapida a lezione di letteratura tedesca. Entrò grondante e inevitabilmente chiassosa, nel silenzio di un’aula piena di testoline bionde che, voltandosi per un fugace istante verso di lei e poi di nuovo verso l’insegnante che spiegava Novalis, si sussurravano ridacchiando a vicenda “…ecco, la solita italiana ritardataria…”. Se c’era una cosa che Laura odiava più di essere in ritardo, quella era essere accomunata a tutti gli stereotipi dell’italiano all’estero. “Fantastico, la giornata prosegue alla grande!”.
Fradicia, digiuna, rossa per l'imbarazzo e di pessimo umore prese posto in ultima fila, cercando di disturbare il meno possibile, ma le mani le tremavano e più volte la penna le cadde sonoramente dalle mani mentre cercava di prendere appunti.

Arrivata finalmente l’ora di pranzo, si diresse verso la caffetteria per comprare qualcosa da mangiare. In fila alla cassa, cercava distrattamente il portafogli, quando improvvisamente un ricordo attraversò come un flash la sua mente e si rese conto che il giorno prima, rovistando nello zainetto, aveva poggiato il portafogli sul comò della sua stanzetta e non lo aveva rimesso poi n borsa. Gettò rabbiosa l’insalata pronta nel primo banco frigo che trovò e uscì dal supermercato, facendo rapidamente i conti. “Lezione fra 40 minuti. Ammesso che passino i bus al momento giusto, impiegherei almeno 15 minuti ad andare e altrettanti per tornare. Mi rimarrebbero meno di 10 minuti per prendere il portafogli, andare al supermercato, comprare qualcosa e mangiare… Ci rinuncio!” Concluse infine laconica, mentre rassegnata si dirigeva rapida alla lezione successiva. Il fatto è che Laura, nell’ansia di non essere accomunata allo stereotipo di italiano ritardatario, chiacchierone, socievole e buongustaio, aveva cercato di mimetizzarsi e quasi di scomparire in mezzo agli altri studenti, ed essendo anche abbastanza timida non aveva ancora fatto amicizia quasi con nessuno a cui chiedere aiuto. Sul fondo dello zainetto trovò un pacchetto di vecchi cracker sbriciolati, e a quelli si aggrappò per sopravvivere al resto della giornata, che riusciva chissà come a peggiorare di ora in ora.

Erano già le sei del pomeriggio e c’era buio quando arrivò infine a casa. Le chiavi, almeno quelle, non le aveva dimenticate. Era sola, le altre due inquiline lavoravano ancora, o forse erano già uscite coi loro amici. Corse in bagno buttando i vestiti sul pavimento e si infilò sotto il getto caldo della doccia. Era stata tutto il giorno con gli abiti bagnati addosso ed era certa che si sarebbe presto ammalata, anzi, le pizzicava già la gola. Infine, raggiunse la sua stanza per indossare finalmente il pigiama e infilarsi sotto le coperte a guardare Netflix in santa pace. Il portafogli era là, sul comò, ad aspettarla proprio dove lei ricordava di averlo lasciato. Lo afferrò con rabbia e lo ficcò dentro lo zainetto; quindi una forte fitta allo stomaco le ricordò quanta fame avesse per cui si diresse verso il frigorifero, sperando di trovare qualche meraviglia di cui magari nemmeno si ricordava. Ma ahimè la sua memoria non la tradiva e fra le fredde pareti bianche la aspettavano soltanto un barattolo di crauti, un uovo e tre carote, quando lei si sarebbe mangiata volentieri un bue comprese le corna.

Presa dallo sconforto per quella terribile giornata da Calimero, scoppiò a piangere ricurva sul tavolo della cucina, con la testa abbandonata tristemente fra le braccia. Tuttavia dopo pochi minuti una seconda, violenta fitta le fece gorgogliare di nuovo lo stomaco, riportandola alla realtà e facendo scattare qualcosa dentro di lei. “Basta”, si disse, “stasera ceno fuori!”. Laura non aveva certo molti soldi, come tutti gli studenti universitari, così stava attenta a tutte le spese ed evitava di sperperare denaro mangiando fuori nella costosa Berlino; quella sera, però, sentiva davvero di meritarsi un premio di consolazione per la sfortunata giornata. Si vestì come una furia e uscì nella fredda notte berlinese. La pioggia era cessata e le nuvole andavano diradandosi, trafitte dai raggi di una luna decrescente ma ancora tonda. Respirò l'aria pura e pungente e mentre gettava uno sguardo al blu intenso del cielo pensò: “Lassù le stelle brillano lo stesso.”.
Heidelbeere_Berlin.jpg
Wikimedia commons CC3.0 Th. Voekler CC BY-SA

Si diresse verso un pub a qualche centinaia di metri dal suo appartamento, d'avanti al quale era passata spesso ripromettendosi di provarlo un giorno o l’altro. Era una di quelle birrerie tipicamente tedesche, molto informali, dove contava più bere che mangiare, anche se il menu non lasciava certo delusi. Il locale si affacciava sulla strada e le ampie vetrine facevano intravedere l’interno, costituito da tavoli e panche di legno e tanta gente con grandi boccali di birra chiara e piatti fumanti e appetitosi. Qualora la vista non fosse stata sufficiente ad invitare dentro i passanti, un delizioso profumino di arrosto, zuppa e calore avrebbe convinto chiunque ad entrare almeno per una fetta di strudel. Laura aveva già l’acquolina e senza indugio spinse la porta facendo tintinnare una campanella e richiamando l’attenzione di una cameriera che le venne subito incontro e la fece accomodare portandole il menu. “Voglio sicuramente una bella zuppa calda” pensava Laura sfogliando le poche pagine dense di cose buone “e poi anche della carne…uno stinco o le polpette? Vorrei tutto!”.

Mentre iniziava a ristorarsi del calore della birreria e sorbiva vorace una saporita zuppa di patate, a un tratto sentì che stava pian piano riacquistando i sensi e vide davvero quel posto per la prima volta. Era come se la stanchezza e la fame l’avessero fatta diventare cieca e sorda, e man mano che mangiava le persone attorno a lei riprendevano vita, tornavano ad essere reali, ad assumere forme e colori, a produrre suoni e voci. Laura iniziò a notare la gente attorno a lei, le famiglie che mangiavano, gli amici che brindavano, i camerieri che servivano ai tavoli. Si accorse che nel locale un gruppo folcloristico faceva musica dal vivo e che in sottofondo si sentiva un allegro e brioso chiacchiericcio. Nel tavolo accanto a lei alcune ragazze festeggiavano il compleanno di un’amica e stavano ciarlando della loro giornata quando una di esse incrociò lo sguardo di Laura e le sorrise facendole un cenno di saluto. Laura guardò alle sue spalle, quindi a destra e a sinistra, poi si indicò col dito come per dire “ma dici a me?”. La testolina bionda sorridente fece “si” con la testa, disse qualcosa a bassa voce alle sue amiche, quindi si alzò e andò dalla ragazza, incuriosita. <<Ciao!>>, esordì, <<io sono Birgit, frequentiamo lo stesso corso di storia. Vuoi unirti a noi? Facciamo portare una birra anche per te!>>. Laura non poteva credere a quel che stava succedendo. Rimase come bloccata per qualche istante, poi arrossì e accettò l’invito. Trascorse il resto della serata assieme a quel gruppo di sconosciute, ridendo e scherzando come se si conoscessero da sempre. Una di loro era stata a Roma una volta, mentre altre due avevano i nonni di origine italiana e tante cose da chiederle sul suo Paese. Laura si spiegava come poteva, a volte in tedesco a volte in inglese, ma non ebbe mai la sensazione di essere incompresa. Dopo qualche boccale di birra le ragazze erano tutte un po’ allegre e prima di far portare la torta di compleanno si fecero insegnare dalla nuova amica “Tanti auguri” in italiano per cantare la canzone alla festeggiata. Ne riuscì un coro talmente divertente da attirare l’attenzione dei musicisti e le risate dei presenti, tante da far male alla pancia. Si divertirono molto, e Birgit e le sue amiche invitarono Laura ad uscire con loro anche l’indomani, e le settimane successive, diventando le sue prime amiche di quell’Erasmus. Fu soprattutto l’allegria che la studentessa ricordò infine di quella stramba giornata, e le risate infinite e spensierate di un fortunato venerdì 17.

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Un bellissimo racconto con un bel lieto fine.
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