CDUMDS. Capitolo 7 - Metamorfosi
Avevo metabolizzato la responsabilità di essere un cantante, di essere un frontman: venti minuti di live e già mi ero montato la testa.
Il virus della musica, dello showbusiness, si era diffuso velocemente nel mio corpo, e radicato in profondità.
Iniziavo a posizionare la musica sempre più in cima, nei convenevoli o nelle discussioni.
-“Ciao, come ti chiami”-
-“Luca”-
-“E che fai nella vita?”-
La risposta era:
-“vado a scuola”- nell’86/87 saltando a piè pari il pianoforte
-“vado a scuola e faccio karate”- nel periodo successivo
-“vado a scuola, faccio karate, e suono il pianoforte” – dopo aver dato una lezione alla prof. di musica.
-“vado a scuola, faccio atletica, d’estate lavoro, suono il pianoforte e ho iniziato a suonare il sax”- in primo superiore, quando iniziavano ad essere necessari argomenti sul curriculum per fare il figo.
-“vado a scuola, faccio atletica, suono il sax nella banda e faccio le serate, d’estate in più lavoro” – per tutte le superiori
-“mi sono iscritto ad ingegneria, e faccio il cantante”- a Settembre 1999.
La musica, non solo era arrivata sul podio, ma era una cosa degna di nota che volevo mostrare subito.
Il prestigio della conoscenza, e il prestigio della sensibilità artistica.
Sensibilità artistica, poi, per modo di dire.
L’arte era molto lontana dal punto in cui mi trovavo, ma non lo sapeva nessuno, nemmeno io. Quindi inutile sottolinearlo ora.
Un frontman che si rispetti, è frontman dentro e fuori dal palco.
In occasione del primo live, avevo studiato il mio look (esperimento riuscitissimo che mi riempiva di orgoglio), era il caso che dessi continuità alla mia metamorfosi, e che iniziassi a indossare quotidianamente i panni e l’atteggiamento della rockstar.
Una bandana, ad esempio, poteva essere un elemento distintivo e di forte impatto. E le foto testimoniano la correttezza della scelta.
Come gli occhiali da vista fanno Clark Kent, la bandana faceva di me un frontman. Si percepiva nitidamente.
Mi trasferii finalmente a Roma.
Per quanto avessi una fidanzata ad aspettare il mio ritorno per il weekend, rientravo il prima possibile, ma principalmente per poter provare con il gruppo.
Nessuna delle attività che fino ad allora avevo praticato, era riuscita a regalarmi emozioni con la stessa continuità.
Le prove, lunghissime ore dentro quel salone rimbombante, erano un esempio di alchimia che non avevo assaporato nemmeno nel ben più marcato cameratismo sportivo.
In occasione di un’importante festa patronale del mio paese, complice soprattutto il budget risicato del comitato organizzatore, ci fu data l’occasione di aprire il concerto all’artista principale (che non ricordo chi fosse, avevamo occhi solo per noi stessi).
Un palco grande, un numero di persone importante, meritavano la nostra attenzione.
La scaletta fu la stessa del nostro esordio, squadra che vince non si cambia, e i miei compagni di avventura continuarono a non dare importanza al proprio look.
Io invece, aggiustai il tiro acquistando una maglietta in acetato azzurra, come la divisa dell’Italia, ad Italia ’90. Tipo Schillaci, per intenderci.
La salopette bianca, la maglietta azzurra, gli occhiali gialli, e la bandana celeste. Il 16 Agosto.
Sudai abbastanza, ma sono sicuro fosse colpa della coda dello stress emozionale.
Purtroppo, non ci sono testimonianze filmate di quel concerto.
Devo dire per dovere di cronaca, che con le regolazioni giuste, su un grande palco, e qualche luce, l’effetto non fu sgradevole. Ricevemmo anche dei complimenti. Pochi, ma sinceri.
Tutto foraggio per il mio ego. Eravamo bravi, e il mondo stava iniziando ad accorgersene.
Parallelamente alla mia evoluzione, nella direzione frontman dentro e fuori dal palco, era iniziato il percorso nella facoltà di Ingegneria, alla Sapienza di Roma.
I piani iniziali, l’alloggio universitario, i modi, i tempi, i coccodrilli e gli oranghi tanghi, saltarono in aria, e finii a condividere una stanza con Matteo, in un appartamento con altri quattro ragazzi.
Per raccontare ciò che è successo in quegli anni, undici per la precisione, scriverò un altro libro, anche due.
Mi misi a studiare come mi ero ripromesso: da secchione.
Sveglia alle sei, con Matteo ronfante di fianco, chino sui libri con una minuscola lampada per non dargli fastidio. A lezione tutti i giorni, senza saltare niente e in nessun caso. Uno studente modello.
Questo metodo, non poteva che essere infallibile, e portò i suoi risultati.
Primo esame: Analisi matematica I – bocciato
Secondo esame: Geometria – bocciato
Tutto nel giro di una settimana.
Ero nel posto giusto, e il karma non perdeva occasione per ricordarmelo.
Cambiai atteggiamento, e puntai sul rock ‘n’ roll anche all’università. Mi sarei goduto la vita da studente fuorisede, per lo studio qualcosa mi sarei inventato.
Ero o no, un musicista? I musicisti, le chitarre, le spaccano sul palco. E io questa cosa l'avevo scoperta da poco.
Con l'intento di cercare nuovi brani da proporre alla mia band, iniziai ad interessarmi incessantemente alla musica ascoltata e ai video musicali.
Scoprii un universo sconosciuto di gruppi, di cantanti, e di modi diversi di approcciare e fare musica.
E non stiamo parlando di Gigione, parliamo di Metallica, Iron Maiden, Guns ‘n’ Roses, Queen, e innumerevoli altri. Tutta gente di cui fino ad allora, avevo ignorato l'esistenza.
Di ognuno, oltre all’ascolto, adoravo guardare i live. I live mi lasciavano a bocca aperta.
Passavo ore senza staccare gli occhi dallo schermo, chiedendomi come avessi fatto per tutti quegli anni, ad esserne all’oscuro. Avevo capito di aver un enorme bagaglio culturale da recuperare, e se avessi potuto l'avrei recuperato in un solo giorno.
Ciò che goffamente avevo provato a fare, mascherandomi da cantante nei miei due concerti fino ad allora, era ora sostituito da una consapevolezza crescente.
Le immagini che mi restituiva la musica, e le emozioni legate ad esse, quotidianamente, condizionavano il mio modo di essere e di comportarmi. Lo sguardo puntato verso degli idoli, dei punti di riferimento, che non avevo mai avuto, mi facevano sognare di essere come loro, e provare a somigliare a loro.
Più o meno.
Tanto a criticare i miei occhiali gialli, ma tutti hanno voluto farcisi un giro.
Questa curva metamorfica, fu ostacolata dal classico fulmine a ciel sereno, una telefonata di Luca:
-“Ciao, abbiamo un problema, il bassista è sparito e il batterista ha detto che con lui non ci vuole più suonare”
-“In che senso sparito? Che vuoi dire Luca?”- gli chiesi.
-“Non risponde più al telefono, non riesco ad organizzare le prove, il batterista si è incazzato e non vuole più venire, perciò questo fine settimana la prova salta”-
Ma non aveva senso! Eravamo una band, sei menti della stessa entità, che significava?
Avevo appena assistito all’atteggiamento tipico di un musicista, quello che più spesso avrei incontrato per tutta la mia lunga carriera musicale: il musicista stronzo.
tutte le immagini sono di mia proprietà
Oohhhhh per quelli della nostra generazione il periodo da metallaro è stato quasi un must. Tu l'avevi presa come mio fratello: trench di pelle e maglietta nera. Io mi limitavo alle felpe.
Comunque arrivare alle performance live di Bruce Dickinson sarebbe stato "un po' difficile". Ma la speranza era l'ultima a morire eh? ;)
Sai che io Bruce lo adoro come timbro, mi piacciono più gli Iron Maiden che i metallica, ma a livello di performance sono sempre stato stregato da axl. Sentii per la prima volta la blasonatissima don't cry, e mi lasciò scioccato.
Eccola la fase metallica, l’avevi detto!!! Con tutto l’abbigliamento che comporta e impone!!! 😂
E no, cara... Non tutto. Mancano i capelli lunghi (che il mio amico aveva già mannaggia a lui)
E bravo Surya... gran bel post, di un argomento che mastico poco, purtroppo io ancora oggi sogno di fare il calciatore e ho 35 anni! A ognuno il suo. Un saluto @giornalista
E dopo questo post, posso dire che non ero l'unico ad avere una adolescenza traumatica.